Delitto Neri, in un’auto bruciata e rottamata la soluzione del mistero

Delitto Neri, in un’auto bruciata e rottamata la soluzione del mistero
di Paolo Mastri
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Giovedì 26 Aprile 2018, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 08:42
PESCARA C’è una ricca famiglia italo-venezuelana, una dinasty sempre a galla da Chavez e Maduro, con interessi che abbracciano edilizia, concessioni minerarie e produzione di vino. C’è un rampollo, Alessandro Neri, con troppe amicizie equivoche nei piani alti della malavita pescarese, trovato ammazzato cinquanta giorni fa. E una madre comprensibilmente disperata che quotidianamente in tivù e sui social invoca verità per il suo Ale. Ma, nel giallo di Pescara, non c’è più posto per l’ipotesi di una faida familiare, uno scontro nato un paio di anni fa per il controllo di un’azienda vinicola in Abruzzo e finito chissà come. La prima pista, accreditata da uno sfogo di mamma Laura, che Camillo Lamaletto, figlio del fondatore dell’impero Gaetano senior e zio materno di Alessandro, ha definitivamente demolito. «Freddezza, sì. Vecchi dissidi». Ma nessuna guerra tra il ramo paterno e la famiglia Neri. «Non vedevo Ale da anni, ormai vivo quasi stabilmente in Venezuela», ha raccontato il teste al pm Valentina D’Agostino. «L’ultima volta ci siamo incontrati in ospedale, durante la malattia di mia madre, che era la sua nonna materna».

SORPRESE
Però non si riparte da zero. Prima degli interrogatori, doverosi, di zio Camillo e di suo figlio Gaetano Lamaletto, il cugino partito improvvisamente per gli Stati uniti la notte del delitto, il 5 marzo scorso, attirando la comprensibile curiosità dei carabinieri, le indagini hanno fatto cauti, ma significativi passi avanti. E hanno definito intorno ai coni d’ombra nella vita della vittima il perimetro dal quale dovranno saltare fuori movente, mandanti ed esecutori materiali del delitto. Le amicizie di Ale, in primo luogo, che conducono a personaggi di spicco delle famiglie pescaresi in competizione con i clan rom per il controllo del narcotraffico in una città che è piazza di spaccio, ma anche canale di transito delle rotte balcaniche che attraversano l’Albania, terminale della cocaina gestita dalla ’ndrangheta e punto di riferimento dei clan foggiani. Poi due società scovate dalla Guardia di finanza, riconducibili a Neri e apparentemente estranee ai tradizionali interessi della dinasty. E infine le voci, sempre più insistenti, su azzardi finanziari al limite dell’usura e la passione per le aste giudiziarie di automobili.

RICOSTRUZIONI
Su tutto aleggia un giallo supplementare, forse frutto di una coincidenza, ma impossibile da archiviare prima dell’ultima parola affidata al Ris. Il mistero è racchiuso in un cubo di lamiere compresse: è quel che resta di un’Opel Meriva grigia data alle fiamme nella notte tra il 6 e il 7 aprile a Pescara, a 24 ore dall’esecuzione di Neri con due colpi di pistola al torace e alla testa. Un rogo doloso che non risparmiò un paio di motorini e la porta d’ingresso del proprietario, la vittima evidente dell’attentato. Quel che non torna è l’apparente somiglianza della Meriva con una delle auto riprese da varie telecamere di sicurezza al seguito della Fiat 500 con la quale Ale si allontanò da casa il pomeriggio del 5 marzo e, soprattutto, la corsa alla rottamazione. Ragion per cui gli specialisti del Ris hanno deciso di districare il cubo di lamiere pressate cercando di ricostruire per quanto possibile la sagoma dell’auto, alla ricerca di tracce scientifiche. Un calco degli pneumatici è già stato prelevato e su questo sono in corso le comparazioni con le numerose tracce trovate nei pressi del luogo del ritrovamento del cadavere.

Insomma, un rebus nel quale l’unico elemento di certezza è l’estraneità dei familiari più stretti. È apparso chiaro quando Gaetano Lamaletto ha mostrato agli inquirenti il biglietto aereo per la Florida prenotato con larghissimo anticipo sulla data del delitto. La sua, a differenza del killer ancora senza nome, non è stata una fuga.
 
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