Un Posto al Sole, Rodolfo Corsato: «L'avvocato Enriquez? Ne vedrà delle belle»

Un Posto al Sole, Rodolfo Corsato: «L'avvocato Enriquez? Ne vedrà delle belle»
di Regina Picozzi
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Venerdì 20 Aprile 2018, 17:41 - Ultimo aggiornamento: 18:35


Il suo esordio in TV è stato a soli 23 anni, quando nel film “Una Questione Privata” di Alberto Negrin recitò al fianco di Rupert Graves. Ha lavorato in produzioni internazionali come “The Talented Mr. Ripley di Anthony Minghella condividendo il set con Matt Damon, Jude Law, Cate Blanchett, Gwyneth Paltrow, Philip Seymour Hoffman. Premio attore rivelazione 2004 per la sua interpretazione da coprotagonista ne “L’ Amore è eterno finchè dura” di Carlo Verdone, oggi è noto al grande pubblico televisivo per la sua interpretazione dell' Avvocato Massimo Enriquez, spietato e carismatico personaggio della nota soap-opera partenopea “Un posto al sole”.
 

 


Ma chi è, davvero, Rodolfo Corsato?

Un uomo come tutti. Con passioni, ambizioni. E sempre tanto da imparare. Un uomo che venne mandato a svolgere il servizio militare nel carcere di Bologna, scoprendo per caso l'esperienza entusiasmante del palcoscenico. Senza poi volerla più lasciare.


Che può dirci della sua recente esperienza nei panni dell'Avv. Enriquez?

Quando si è presentata la possibilità di lavorare nel cast di “Un posto al sole” stavo pensando di lasciare l'Italia. Il personaggio dell'Avvocato Enriquez però mi ha incuriosito e decidere di restare si è rivelata la cosa giusta. L'ambiente di questa soap-opera è estremamente professionale, con addetti alla realizzazione di livello molto alto. Vige un meccanismo perfetto e si gira in media una puntata al giorno. Come si dice.. “Buona la prova”! Non c'è tempo per sbagliare.


In questi 30 anni di carriera ha lavorato sia in Italia che all'estero. E' stato il dott. Malosti nella serie “Terapia d'Urgenza”, il killer Dorian Lazslo in “Distretto di Polizia 9”, l'ispettore Campagna in “Crimini”. E' stato diretto da Carlo Verdone e da Giovanni Veronesi, ma anche da grandi registi stranieri. Che differenze ha potuto percepire tra l'ambiente italiano e quello internazionale?

Ho sempre sostenuto che gli attori italiani non abbiano niente da invidiare agli altri attori nel mondo. Il vero svantaggio credo sia soprattutto quello di parlare una lingua conosciuta solo nel proprio Paese, oltre al fatto di doversi confrontare con capacità economiche il più delle volte non paragonabili a quelle internazionali e che necessariamente provocano delle conseguenze sul lavoro: se gli attori americani ricevono mediamente una sceneggiatura 3 mesi prima dell'inizio delle riprese, a noi italiani può succedere di averla ad una settimana dal primo ciak. Altre strutture, altri meccanismi. All'estero, a differenza dell'Italia in cui bisogna sempre un po' autogestirsi, si viene messi nella condizione di poter studiare, di potersi preparare con tranquillità. C'è un'attenzione particolare, un po' come quella che si ha quando si allenano gli sportivi di alto livello, nel permettere agli attori di condurre una vita adeguata e di non avere altri pensieri se non quello di recitare. Oltre a questo, i casting sono mirati sempre a capire veramente chi tu sia, pesando tutte le esperienze pregresse. All'estero, almeno per la mia esperienza, le cose vanno diversamente non solo dal punto di vista economico ma anche in relazione alla ricerca della persona “giusta”, che per ogni ruolo è meticolosa e mai derivante da relazioni personali e presentazioni. Il risultato di questo meccanismo si riflette inevitabilmente sul pubblico: qui in Italia gli spettatori sono in un certo senso costretti ad accettare anche la non-qualità. Servirebbe una rivoluzione culturale che ci spingesse ad esigere un livello qualitativo più alto, in tutti i settori.


A proposito di produzioni estere, il circuito di Netflix sta trasmettendo un film nel quale ha recentemente lavorato..

Si tratta di una produzione svedese. Nel 2015, mentre ero qui in Italia “in attesa di giudizio”, venni chiamato dal mio agente di Londra per un incontro con il regista Johan Brisinger che poi mi scelse per il ruolo di coprotagonista nel suo film “I love you.. A divorce story”, prodotto da Lena Rehnberg, nel quale ho recitato in inglese. Interpreto un personaggio che, affidato da bambino ad una famiglia italiana da una mamma troppo giovane e divenuto nel tempo un famoso fotografo di donne nude (un po' alla Helmut Newton), viene chiamato a Stoccolma per una mostra e ritrova la propria madre. In questo contesto nascerà un amore e si faranno bizzarre scoperte.. Una bella “commedia degli errori”, che mi ha dato la possibilità, come era già accaduto alcune volte in passato, di recitare anche in una lingua non mia. Oltre che in italiano e in inglese, tra l'altro, ho osato doppiarmi anche in francese.
Del resto Gassman diceva che recitare nelle altre lingue sia più facile, perché è un po' come indossare sempre una maschera. Anche se, certo, improvvisare risulta più complesso!


Sappiamo che, nonostante la crisi del cinema italiano non si possa definire del tutto superata, le fiction televisive acquisiscono al contrario sempre maggiori consensi. Da cosa dipende?

Probabilmente ciò risponde ad un'esigenza di “continuità” avvertita dal pubblico, per il quale risulta piacevole avere una sorta di appuntamento, costante, da attendere. Le capacità artistiche e tecniche di realizzazione delle serie televisive in Italia non mancano e al di là dei confini nazionali alcuni nostri lavori vengono apprezzati, ma purtroppo, quando si tratta del mercato internazionale, nella maggior parte dei casi non si riesce ad andare al di là dei “prodotti tipici italiani”. Ed è un peccato, visto che siamo il Paese della cultura.


Le produzioni estere sembrano però rimanere sempre ad un altro livello rispetto all'Italia. Ed offrire ad artisti italiani maggiori opportunità..

In realtà è giusto anche ridimensionare il concetto di “estero” in quanto tale e sottolineare il fatto che la crisi sia di carattere mondiale. Quel che però esiste, a mio parere, è una differente scelta di fondo: mentre qui in Italia la tendenza è quella di orientarsi quasi sempre verso gli stessi nomi, gli stessi volti, altrove viene concesso molto più spazio anche a produzioni con cast di bravi attori sconosciuti e storie buone, di grande forza. C'è un'importante apertura verso il cinema indipendente. E poi, se parliamo invece di personaggi noti, c'è una notevole diversificazione dei ruoli interpretati. Credo che il cinema italiano andrebbe maggiormente curato e protetto. Il pubblico, del resto, sa riconoscere benissimo la qualità quando esiste. Ne è un esempio la reazione che tutt'ora hanno persino i più giovani di fronte ai film di Carlo Verdone, interessanti nelle storie raccontate oltre che molto ben realizzati. “L'amore è eterno finché dura”, a cui partecipai, fu un'esperienza straordinaria ed estremamente formativa. Indimenticabile lavorare con un regista e attore di tale calibro, oltre che con Laura Morante e Stefania Rocca.Vedere che ancora replichino il film in tv è una dimostrazione della sua qualità, oltre che una grande gioia per me!
E constatare che non necessariamente sia obbligatorio fuggire all'estero per avere successo è una bella dimostrazione del fatto che ancora ci possano essere i giusti meriti per le persone giuste, anche in Italia.


I suoi fan italiani di “Un posto al sole”, allora, possono stare tranquilli? L'Avv. Enriquez resterà anche nella prossima stagione?

L'Avv. Enriquez resterà sicuramente fino ad agosto e forse anche oltre.. Quello che posso dire è che ci saranno vari sviluppi e se ne vedranno delle belle.


Come trascorre una giornata libera dagli impegni del set Rodolfo Corsato?

Quello che dico sempre è che “lavoro per lavorare”. Credo cioè che, come in tutti i mestieri ma forse in particolare nel mio, in cui gli artisti divengono in un certo senso veri e propri “strumenti”, al di là di pigrizie e distrazioni ci debbano essere una costante disciplina ed una costante preparazione. Bisogna studiare, capire e capirsi.


Salutiamoci alla maniera di Marzullo.. Ci sveli un rimpianto ed un grande motivo di orgoglio.

Il mio rimpianto è forse quello di non aver avuto il coraggio, quando ero ancora molto giovane, di tentare una carriera internazionale trasferendomi all'estero. Ma mi sono sposato, ho avuto due meravigliosi figli ed una vita che mi ha già regalato il mio personale Oscar. Di una cosa sono molto orgoglioso: avevo 31 anni quando con un amico regista francese realizzai il primo film a basso costo su Padre Pio. Ricordo che andai personalmente in RAI a presentarlo e che Vespa lo mandò in onda proprio per la serata di beatificazione. Divenne un caso editoriale e produttivo, riconosciuto e apprezzato dagli stessi fedeli. Ma il mio vero motivo di orgoglio è un altro: considerando da dove sono partito, chi l'avrebbe mai detto che sarebbe accaduto tutto ciò che è già successo? Sono un uomo fortunato.










 

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