Cinema, Hissa Hilal: una poetessa contro gli estremisti

Cinema, Hissa Hilal: una poetessa contro gli estremisti
di Elena Panarella e Rossella Fabiani
5 Minuti di Lettura
Sabato 14 Aprile 2018, 17:41
«Critico la rigidità religiosa, il terrorismo e chi uccide in nome dell’Islam. Critico chi vuole gli arabi chiusi tra di loro e ostili nei confronti degli altri». Con queste parole si apre il documentario “The Poetess” (2017) di Stefanie Brockhaus e Andreas Wolff dedicato alla poetessa e attivista saudita Hissa Hilal che è diventata famosa in tutto il mondo per avere partecipato al talent show “Million’s Poet” con le sue poesie contro il terrorismo e il fanatismo islamico. Il documentario, tra altre anteprime, verrà proiettato domani a Firenze al Middle East Now.

Hissa, il cui nome significa anche “lezione”, sembra essere riuscita a fare qualcosa che molti uomini non sono stati in grado di fare. Ha usato l’intrattenimento per attaccare gli elementi più insidiosi del clero religioso ispirando milioni di persone ad ascoltare il suo messaggio, anche se non potevano vederla in viso. Il documentario racconta la storia vera di Hissa Hilal, poetessa, scrittrice e studiosa di folklore quarantatreenne, moglie di un giornalista, che ha utilizzato il palcoscenico televisivo del più noto talent show degli Emirati per attaccare con i versi della poesia nabati il fanatismo jihadista e le fatwa degli imam che schiacciano e sviliscono le donne.

La poesia nabati è la poesia popolare o la poesia dei beduini. La stessa Hissa appartiene a una antica famiglia beduina. Guardando lo show “Million’s poet” trasmesso da Abu Dhabi, racconta Hissa nel documentario, «mi sono resa conto che le poesie che venivano recitate non avevano nulla a che fare con la poesia nabati e che non c’erano donne tra i partecipanti». Così Hissa decide di fare l’audizione per partecipare, ma è consapevole che non sarà facile farlo accettare alla sua famiglia: «Una donna da sola in mezzo a tanti uomini?». Le audizioni si tenevano a Riad e Hissa dovette abbandonare l’idea.
«In Arabia Saudita è impossibile che un uomo e una donna siano insieme nello stesso posto e anche se viene permesso io non sarei mai andata a un raduno con un uomo beduino. Solo uomini beduini! Che cosa poteva fare una donna là?». Poi però le fu detto che era possibile fare le audizioni anche ad Abu Dhabi. L’Oman, gli Emirati, il Qatar e il Kuwait non hanno nessuna legge simile, non c’è un dress code per le donne. «Rimane l’idea, però, che una donna sul palcoscenico sia una delle più grandi catastrofi per gli uomini beduini. Se tu vieni da quella comunità la tua presenza sul palco è considerata un crimine morale. Ma mio marito mi diede il permesso: mi chiese però di coprirmi gli occhi. Solo per essere sicuro di evitare critiche e di non dare alla gente la possibilità di parlare male di me. Capisco ogni uomo che si oppone, padre, marito o fratello, perché conosco la società. Voleva proteggere se stesso e anche me». 
Così Hissa partecipa all’audizione e viene ammessa alla gara poetica arrivando, unica donna, fino alla finale. Sceglie come pseudonimo Remia perché sua madre è una beduina molto ortodossa, suo marito le chiede invece di partecipare anche con il suo nome vero. Cosi Hissa Hilal “Remia” sale sul palcoscenico. Vestita di nero con il niqab a coprirle gli occhi. E succede quello che nessuno poteva immaginare. Il talento e la voce di una donna seduta, risonante senza l’ausilio di musica, luci o trucchi della telecamera, hanno sfidato lo status quo e hanno fatto molto per il progresso delle donne nella regione. 

«Le donne beduine del Najd hanno un detto: non ci si può fidare degli uomini nelle loro relazioni con le donne. Quando vogliono sono bravi con te ma quando ti lasciano sono molti crudeli. Dicono che sono protettori delle donne, ma di loro non ci si può fidare. Quando entrano nella tua vita, la riempiono di luce e quando se ne vanno ti schiacciano con la coda. Non sanno resistere alle donzelle dei fiori cedendo alla loro giovane bellezza, ma dopo che ti hanno preso presto diventerai l’ultima e una nuova moglie sostituirà i ricordi della prima». Questo primo poema viene accolto dagli applausi del pubblico presente anche se uno dei giudici non esita a dire che la poesia è una chiara istigazione alle ribellione. Hissa può accedere alla seconda puntata dello show. «Quando sono andata via dal deserto per andare in città avevo sei anni, mio nonno aveva molti cammelli ed era triste di lasciare la vita che conosceva e di andare a vivere tra quattro mura. Piano piano le persone sono diventate materialiste. La vita tribale era semplice, libera e fuori da ogni sistema. Ai tempi dei nonni c’erano tribù dove le donne non indossavano il burqa. Le donne potevano lavorare e avere il loro business. La ragione del burqa era di proteggere dal sole e dagli uomini del deserto. Era una ragione logica al tempo. Oggi siamo a un punto di non ritorno. Non possiamo tornare alla vita nel deserto».

E poi si arriva al terzo poema della terza puntata. «Ho criticato le fatwe estremiste e terroriste e gli assassini. Ho rotto un tabù e intorno a me accade una grande esplosione», racconta Hissa.
«Il mio poema è schietto, è chiaro a chiunque conosce la poesia nabati. L’argomento di oggi richiede molto coraggio. Ho visto il diavolo negli occhi di fatwe sovversive. Queste fatwe vogliono isolare la società araba e dichiarare tutti gli altri come nemici. Il niqab non significa che tu sei favorevole a una ideologia ostile, che tu sei un estremista o un terrorista che desidera distruggere gli altri. Il niqab ha un background socioculturale. Il malinteso è che gli estremisti usano questo abito come loro simbolo. Forse il poema della fatwa cambierà la storia o diventerà parte della lotta femminista. Non solo per il suo valore letterario ma anche per il suo discorso sociale». 

«Gli anni 70 erano i tempi degli scrittori, dei poeti degli artisti, dei pittori, dei musicisti, degli intellettuali. Alla tv potevi vedere Um Kulthum e Fairouz con i loro abiti normali. Non ricordo che l’abaya era obbligatoria. Anche le donne beduine non la indossavano. Ma poi sono successe molte cose ed è cominciata la rigidità religiosa. Tutto è cambiato dopo Juhayman, l’attivista saudita che nel 1979 fece il sequestro della Grande Moschea della Mecca, il sito più sacro dell’Islam». Hissa ha ricevuto minacce di morte, ma dietro di lei c’erano suo marito, la sua famiglia e milioni di sostenitori che l’hanno aiutata ad avanzare verso la finale. Ironia della sorte, è stata anche criticata per non avere rimosso il suo niqab per apparire in tv. Ma lei ha ribattuto che «non cancella la mia mente, i pensieri o l’arte» e ha chiesto alla gente di prestare attenzione solo alla sua poesia. Perché, più che la forma, quello che conta è lo spirito. 
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