Lampi
di Riccardo De Palo

Il Macbeth pop di Jo Nesbø è un poliziotto corrotto

L'immagine di copertina di Macbeth
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Sabato 14 Aprile 2018, 13:16 - Ultimo aggiornamento: 20:36
La brama di potere logora, eccome, basta leggere Macbeth per convincersene. Ma, nelle mani di Jo Nesbø, la tragedia di Shakespare diventa un thriller che non lascia scampo; l'ambizioso generale protagonista si trasforma in un poliziotto dalle umili origini capace delle peggiori efferatezze pur di diventare commissario.

Il re del noir norvegese è l'ultimo degli autori coinvolti nel progetto di Hogarth Press di riscrivere, in chiave moderna, i capolavori del Bardo, a quattrocento anni dalla sua morte. Da pochi giorni uscito in Gran Bretagna, Macbeth sarà da martedì 17 anche nelle librerie italiane, tradotto da Maria Teresa Cattaneo, per Rizzoli. Nesbø ambienta la storia in una imprecisata città britannica, battuta incessantemente dalla pioggia, funestata da disoccupazione, prostituzione, criminalità. La Scozia del Medioevo, in cui si svolge la tragedia originale, diventa una sorta di Sin City abitata da fattucchiere che sintetizzano nuove droghe (e predicono il futuro del protagonista). L'ultima pozione nata dai loro alambicchi si chiama (mai metafora fu più scoperta), power, potere; e ovviamente il capo delle forze speciali della città, Macbeth, ne diventa subito dipendente. Strega (in italiano nel testo) è la capa di queste megere, una spietata femme fatale alla Eva Green. Ecate diventa il boss del narcotraffico, l'eminenza grigia che muove i fili dietro le quinte. 

Siamo negli anni Settanta, ma lo si avverte soltanto dall'uso dei telefoni fissi e da qualche canzone dei Rolling Stones; piove incessantemente dalla fine della seconda guerra mondiale, come in Blade Runner o Matrix; e Lady Macbeth è una infanticida ed ex prostituta che ha saputo risalire la china sociale, divenendo la regina dei casinò.
Il sanguinario eroe shakespeariano è abile con la spada così come quello di Nesbø sa recidere rapidamente una carotide con un pugnale; di conseguenza il romanzo vira rapidamente sul pulp e quando Macbeth uccide un giocatore che minaccia un croupier, spruzzi di sangue piovono sulla carta della regina di spade, alla maniera di Tarantino.

Come nell'opera originale, Duncan viene ucciso da Macbeth, istigato dalla sua Lady; ma l'obiettivo non è il trono del sovrano, bensì il posto di alto commissario. Macduff, il nobile che arriva ad opporsi al suo re, perde il Mac e diventa, banalmente, l'ispettore Duff.

I critici inglesi, che non amano vedere stravolte le opere del loro poeta nazionale, non l'hanno presa tutti benissimo. Macbeth è stato presentato come «l'ultimo thriller dello scrittore numero uno di bestseller»; e in effetti sembra funzionare meglio laddove l'autore inventa di sana pianta (e non modifica troppo le frasi celebri di Shakespeare), quando non vira sull'auto-parodia involontaria. Almeno Margaret Atwood, nel riscrivere La tempesta, aveva trovato una chiave: ambientare tutto in una prigione, che richiamava l'isola della commedia e l'idea di una vita in cui ci ritroviamo reclusi. Invece, in Nesbø, siamo nel pieno di un film d'azione. E, se abbiamo letto Shakespeare, il finale non lascia spazio alla suspense.

I colori virano presto sul cupo, ma la predominante è rossa, perché il sangue scorre a fiumi; tutto è esagerato, tutto è veramente troppo. L'intreccio è un susseguirsi incessante di sparatorie, inseguimenti, agguati. Le truppe norvegesi sconfitte all'inizio del play diventano una gang di biker trafficanti di droghe, i Norse Riders; viaggiano su Harley Davidson e sparano con un mitra montato su una sidecar; prendono steroidi e portano sul giubbotto il loro simbolo: un teschio in una svastica. Il sindaco è un obeso (corrotto, come tutti) che fatica a uscire dalla limousine e porta i baffi alla Salvador Dalì. Lady Macbeth impazzisce per la troppa droga e, nelle sue crisi di sonnambulismo, non fa altro che lavarsi le mani per lenire i sensi di colpa.

Nesbø si ispira a Shakespeare, ma la tragedia diventa un noir iperrealista, un romanzo distopico che scaraventa il Bardo in un'altra dimensione.
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