La mamma dell'ex pugile ucciso e il film di Garrone: «Mancano ancora i complici del Canaro»

La mamma dell'ex pugile ucciso e il film di Garrone: «Mancano ancora i complici del Canaro»
di Mauro Evangelisti
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Sabato 14 Aprile 2018, 01:00 - Ultimo aggiornamento: 7 Maggio, 15:09

«La vera storia di Giancarlo non è mai stata raccontata, non è stato ucciso dal Canaro, ma da altri di cui non si è mai parlato». Vincenzina stringe il ciondolo con la piccola foto del figlio che porta sempre al collo. «Lo sogno ogni notte. Solo che nelle ultime settimane lo sogno al camposanto».
Ferma il pianto, si alza in piedi, lascia per un attimo il divano di un appartamento alla Magliana, quartiere tranquillo di Roma, che porta stancamente con sé un marchio legato alla banda e alla fiction. E a un altro terribile fatto di cronaca nera, la storia del Canaro, Pietro De Negri, che nel 1988 torturò, mutilò e uccise Giancarlo Ricci, 27 anni, per tutti era l’ex pugile. Roma e l’Italia furono sconvolte dallo strazio che Del Negri, minuto e remissivo, inflisse a Ricci, più alto e forte di lui, attirandolo in una trappola. 
 


Questa storia, o se vogliamo una molto simile, viene raccontata nel nuovo film di Matteo Garrone “Dogman”, che sarà presentato al Festival di Cannes. I trailer sono già in circolazione, difficile non rivedere nelle prime immagini il feroce assassinio avvenuto il 18 febbraio di 30 anni fa, non riconoscere in Dogman il Canaro, e nel ragazzo muscoloso, Giancarlo Ricci. Sì, proprio il giovane sorridente che compare nella piccola foto del ciondolo che Vincenzina porta sempre al collo e ora stringe in mano. Giancarlo Ricci era suo figlio. 

E Vincenzina è sconvolta dopo avere visto le prime immagini di Dogman. «Giancarlo non era un violento, non era uno spacciatore o un rapinatore e il racconto che fece il Canaro era pieno di bugie, il film non può descrivere mio figlio come un delinquente, perché non è giusto».

PROCESSO
Il processo si concluse con la condanna a 24 anni di De Negri (ma è uscito dal carcere nel 2005). Il Canaro diede una versione differente da quella che la famiglia Ricci ha sempre sostenuto con forza. De Negri - secondo quel racconto - fu complice di Ricci in una rapina, ma solo lui finì in carcere e quando uscì continuò a essere vittima della prepotenza del giovane, in uno strano rapporto di sudditanza che terminò con una crudele ribellione del più debole.
 
De Negri attirò nel negozio di toilette per cani Ricci con la scusa di rapinare uno spacciatore, lo convinse a nascondersi in una gabbia, ma poi lo chiuse dentro e, sotto l’effetto della droga, lo mutilò, gli bruciò il volto e lo seviziò per sette ore. Fornì particolari di uno spietata tortura, che sconvolsero Roma. Ma la famiglia di Ricci non gli ha mai creduto, secondo loro fu un’esecuzione rapida e i reali assassini sono altri.

«Una storia che non sta in piedi - ricorda Vincenzina - quella gabbia l’abbiamo vista, mia figlia provò ad entrarci ed era troppo piccola perfino per lei. Il medico legale disse che in realtà Giancarlo morì dopo 30 minuti, la versione accettata dal tribunale non regge, quel De Negri è piccoletto, da solo non avrebbe mai potuto uccidere mio figlio.
No, furono altri ad ammazzare Giancarlo, almeno in quattro, i colpevoli sono degli intoccabili e il Canaro ha solo preparato la trappola, poi ha accettato di prendersi la colpa per paura e per soldi. Guardi, io so dove abita ora il Canaro, non ho nulla da perdere, ma non lo vado a cercare, a che serve? Non è stato lui a uccidere Giancarlo. E ora questo film...». 

La madre di Giancarlo Ricci aveva incontrato il regista tre mesi fa. «Sa cosa mi ha detto? Di stare tranquilla, che il suo film parlava d’altro, che non avrebbe raccontato la storia del Canaro. Però poi sono usciti i primi articoli, i trailer... Io ho due nipoti, uno di 15 e uno di 18 anni. Mi hanno telefonato sconvolti, “non sapevamo che lo zio fosse morto in quel modo”. Ha capito? Avevamo detto loro che Giancarlo morì in un incidente, ora hanno conosciuto la storia nella maniera sbagliata».

RICORDI
Vincenzina era una impiegata del San Camillo, il marito autista, ripetono che la loro è una famiglia con una buona situazione economica, «Giancarlo non aveva problemi di soldi e aveva promesso che non si sarebbe messo nei guai»; ricordano dettagli dell’ultimo giorno, ma anche frammenti di vita spensierata del figlio al mare in Sardegna o che fa l’impennata con la moto. 
«Era buono, lavorava come netturbino, ma quale ex pugile, in realtà aveva praticato tanti sport.
Nel film appare come un delinquente, un violento. Mi sembra che lo stiano uccidendo per la seconda volta».

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