Statali, Il Tfr due anni dopo: il caso alla Consulta

Statali, Il Tfr due anni dopo: il caso alla Consulta
di Michele Di Branco
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Sabato 14 Aprile 2018, 00:44 - Ultimo aggiornamento: 09:39
Sei anni per incassare tutto il Tfr? Davvero troppi. La seconda sezione lavoro del Tribunale di Roma ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale su un ricorso sollevato contro l’Inps in merito al caso dei maxi-ritardi con i quali lo Stato paga la liquidazione agli statali. Una dipendente del ministero della Giustizia in pensione da un anno e mezzo si era rivolta a Confsal Unsa e il sindacato aveva appoggiato la sua protesta denunciando il problema al Foro della Capitale.

Nel dispositivo della sentenza con la quale il Tribunale ha sollevato la questione di legittimità davanti alla Consulta si legge tra l’altro che «una corresponsione dilazionata e rateale del trattamento di fine rapporto nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato può essere disposta in via congiunturale e programmatica, comunque temporanea, con specifico riferimento alla gravità della situazione economica in un determinato periodo di crisi, e non in via generale, permanente e definitiva, come avvenuto nella normativa in esame».

Secondo i giudici, infatti, in questo modo si verifica «sia una violazione dei principi di adeguatezza e sufficienza della retribuzione di cui all’articolo 36 della Costituzione che una violazione del principio di parità di trattamento di cui all’articolo 3 della Costituzione con riferimento alla situazione del rapporto di lavoro privato». Il problema, peraltro già sollevato in passato anche dalla Cisl, è nato nel 2010-2011 con provvedimenti dell’allora governo Berlusconi che, puntando a contenere la spesa pubblica, ha rallentato i processi di erogazione del Tfr in favore dei dipendenti che vanno in pensione. Risultato: la prima tranche della liquidazione (circa il 35%) arriva dopo 27 mesi, la seconda dopo 40 e la terza e definitiva dopo 50-60 mesi.

L’ORDINANZA
Insomma, per intascare la somma intera possono trascorrere, appunto, anche sei anni. «Come la retribuzione anche il trattamento per la cessazione del rapporto del rapporto di lavoro deve, in quanto retribuzione seppure differita, essere restituito tempestivamente, solo così potendosi configurare la sua adeguatezza e sufficienza» spiega l’ordinanza del Tribunale di Roma E ciò «a maggior ragione se si considera che, notoriamente, il lavoratore sia pubblico che privato, specie se in età avanzata, in molti casi si propone, proprio attraverso l’integrale ed immediata percezione del trattamento, di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita (per esempio acquisto di una casa, spese per il matrimonio di un figlio, necessità di cure mediche), ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti, magari da tempo: per esempio, estinzione di un mutuo».

Quanto alla disparità di trattamento tra il settore pubblico e quello privato, osservano i giudici «può trovare la sua unica giustificazione, a livello costituzionale, nell’articolo 81, che tutela l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio statale, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». Ecco che, si deduce, «l’emergenza economica, in linea di principio, pur potendo giustificare un intervento temporaneo e mirato sui trattamenti di fine rapporto, non può infatti avvalorare un’irragionevole protrazione, in via permanente, della dilazione e scaglionamento degli stessi». «Siamo molto soddisfatti – spiega Massimo Battaglia, segretario generale di Confsal Unsa - Per tutti gli statali si apre una speranza concreta di vedere il Tfr nei tempi previsti in precedenza senza disparità di trattamento nei confronti di un privato».
 
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