Libertà e trasparenza/ Quando il sonno della rete genera mostri

di Oscar Giannino
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Mercoledì 11 Aprile 2018, 00:08
«Non abbiamo fatto abbastanza, non abbiamo avuto la consapevolezza dei danni che l’utilizzo sbagliato di questi dati potesse provocare alle persone. È stato un mio errore e mi dispiace. Facebook l’ho fondato io, me ne occupo io, ne sono responsabile io». Ieri Mark Zuckerberg si è presentato al Senato degli Stati Uniti col capo coperto di cenere. Ha illustrato in dettaglio la catena di eventi che hanno condotto, tramite una applicazione presente sulla piattaforma elaborata da un ricercatore dell’università di Cambridge, Aleksandr Kogan, i dati di circa 300mila utenti che avevano accettato di rispondere ai quiz per essere da Kogan trasferiti poi a Cambridge Analytica, società specializzata in modelli psicometrici da offrire a imprese per le loro strategie commerciali sui mercati e a partiti e leader politici per le loro campagne elettorali. 

A seguire, Zuckerberg ha elencato una lunga serie di misure che Facebook sta mettendo in opera per ridurre il rischio di nuove gigantesche violazioni del consenso informato all’utilizzo dei propri dati da parte dei suoi 2 miliardi di utilizzatori.

E anche all’uso a catena improprio di tali dati da parti terze a cui vengono ceduti a catena, e infine evitare che Facebook ospiti e rilanci campagne di false notizia volte artatamente a manipolare il consenso pubblico durante campagne elettorali: come avvenuto e ormai attestato da parte di fonti russe nelle elezioni americane e in quelle tedesche. Ma il problema vero all’attenzione del Congresso americano non è la presa d’atto dell’autodafé del fondatore di Zuckerberg. Tardivamente – visto che un analogo maxi uso di dati Facebook era già stato fatto da Obama nella campagna elettorale che lo vide ascendere alla Casa Bianca nel 2008 – questa volta però lo scandalo di Cambridge Analytica pone per la prima volta un problema giuridico di prima grandezza nel Paese in cui sono natio tutti gli Over The Top, cioè i giganti di Internet che uniscono connettività e dati di centinaia i milioni di utenti, infomazione e pubblicità. E il problema è se la tutela dei dati, la piena trasparenza, e l’osservanza di regole elementari nel gigantesco flusso di informazioni che passano su quelle piattaforme, possa essere solo affidato all’autoregolazione delle compagnie private, come Zuckerberg ancora una volta ha affermato. O se invece non si debba imboccare con decisione un’altra strada, quella della regolazione per legge. 

A oggi, nessun disegno di legge tra quelli depositati in Congresso a Washington, neanche i più avanzati, aveva fatto la scelta della regolazione pubblica a fronte dell’enorme rilievo della funzione e dei diritti in gioco nell’operatività quotidiana di massa della rete. Il presupposto per decidere la via della regolazione pubblica ha a che vedere con la filosofia del diritto. Facebook Google e via continuando sono semplicemente imprese private genialmente innovatrici, oppure delle commodities della modernità, semigratuite o quasi (solo per i servizi più avanzati) nell’utilizzo, ma che in realtà come tutti sappiamo da sempre vivono e generano utili proprio grazie alla profilazione dei dati dei loro clienti? 

Se si sceglie questa seconda definizione della natura stessa degli Over The Top, allora la via della regolazione pubblica a garanzia di almeno alcuni essenziali diritti in gioco diventa quella più giusta. Ed è la strada imboccata dall’Europa. Proprio il prossimo 25 maggio entra in vigore nei 28 Paesi membri dell’Unione la nuova norma generale sull’uso dei big data, la General Data Protection Regulation. A essa saranno soggette tutte le imprese che operano nel mercato digitale europeo, comprese quelle con sede legale fuori dai nostri confini come Facebook, Google e Amazon. 

Il complesso di norme serve a tutelare gli utenti su punti essenziali. L’esplicito e consapevole consenso alla cessione di tutti i dati richiesti dalla piattaforma, e da app che operino sulla piattaforma. La piena informazione su chiunque processi quei dati, compresa l’indicazione di tutte le parti terze a cui fossero ceduti. Il diritto all’accesso comunque, anche successivo, a tutti i propri dati processati. La piena portabilità da parte dell’utente dei propri dati a soggetti diversi, in caso di chiusura o migrazione del raporto di utilizzo. La regolazione del diritto all’oblio e alla cancellazione parziale o totale dei dati. La disciplina delle responsabilità e dei ristori dovuti in caso di smarrimento, o di assenza di informazioe e certezza sulle cessioni avvenute. Nonché un regime di sanzioni per la trasgressione di ciascuno di questi obblighi, con la facioltà delle Autorità Nazionali chiamate ad applicare tali norme di adottare sanzioni fino al 4% annuo del fatturato globale della piattaforma: per gli Over The Top americani, sarebbero miliardi. 

E’ una tutela rafforzata ancor più necessaria, se si pensa che una delle applicazioni su più vasta scala della garanzia alla portabilità dei dati digitali riguarderà per esempio il comparto delle banche, della finanza e delle assicurazioni, con gli OTT sempre più pronti a usare la propria massa di utenti per fare concorrenza diretta agli intermediari del credito e del risparmio. 

Una delle questioni essenziali che riguardano la tutela della libertà e della democrazia è la definizione stessa dell’ambito di utilizzabilità dei big data. Sono strumenti da anni e anni essenziali per ogni analisi del mercato e campagna di promozione mirata in tempo reale, conoscendo gusti, scelte e preferenze dei consumatori. Ma questi devono esserne pienamente consapevoli e informati. Un mondo in cui anomicamente preferenze sessuali, etiche e politiche, oppure i corredi genetici e le cartelle sanitarie digitali dio ciascuno diventassero oggetto di scambio su mercati neri paralleli e privi di garanzie, costituirebbe l’oceano ideale per la proliferazione di squali molto pericolosi. Il punto non è far entrare lo Stato nella rete: è garantire che Internet sia illuminato dalla luce e dalla legge, come premessa che e garanzia che sia strumento di libertà com’era immaginato dai suoi pionieri, non realtà virtuale generatrice di mostri reali.
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