Il grande affare dei big data: «Così vendono le nostre vite»

Il grande affare dei big data: «Così vendono le nostre vite»
di Cristiana Mangani
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Mercoledì 11 Aprile 2018, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 08:14

ROMA Dati sensibili, personali, riservati, da vendere al migliore offerente. Le nostre vite sul mercato dell’economia digitale producono rendite da capogiro. E se Facebook, con i suoi due miliardi di profili, ha potuto permettersi una capitalizzazione di Borsa di oltre 500 miliardi, sono molte altre le società che, grazie alla raccolta dei “big data”, conoscono persino le nostre emozioni, e le impacchettano a uso e consumo della pubblicità e della politica. E tutto questo avviene a nostra insaputa.



PROFILI CANCELLABILI
L’elenco va ben oltre i social network, Facebook, YouTube, Amazon, Google, vere potenze mondiali. «I monopolisti della Rete possono condizionare l’intera umanità - ha più volte lanciato l’allarme, Antonello Soro, presidente dell’Autorità per la privacy - perché possiedono un patrimonio di conoscenze gigantesco». Basti pensare ad Acxiom, con sede nell’Arkansas. Nata come società demografica, si è spostata sulla raccolta dati a fini politici. E di recente qualcuno l’ha tirata in ballo perché avrebbe ricevuto moltissimi profili dalla piattaforma beppegrillo.it. Il Garante avrebbe anche preso in esame la questione, ma non c’erano gli estremi per indagare ulteriormente visto che la piattaforma è stata chiusa. Acxiom possiede i dati di quasi 1 miliardo di persone e serve oltre 8.000 clienti in tutto il mondo. Davanti alle proteste sull’uso di quanto raccolto, la società ha risposto dando ai consumatori una certa visibilità su quali informazioni possiedano, consultabili attraverso il sito web aboutthedata.com, eventualmente cancellabili.

Risale addirittura al 1899 la nascita di Equifax, presa d’assalto di recente dagli hacker che hanno rubato i dati personali di oltre 230 milioni di persone. Perché, in effetti, non basta l’uso sconsiderato di quanto ci appartiene: dalla fascia di reddito alle preferenze politiche, religiose e sessuali, ci pensano anche gli hacker a far finire “i nostri segreti” in mano di chissà chi. Equifax, poi, ha una storia particolare: una sua iniziativa ha fatto parecchio scalpore negli anni ‘70 per una procedura offerta sul mercato, fondata sul principio che alcune attitudini comportamentali, quali a esempio quelle sessuali, potessero condizionare l’affidabilità nella restituzione dei prestiti bancari. Nei suoi archivi sono presenti oltre un miliardo di persone per tre miliardi di dollari di fatturato. C’è poi Corelogic, altro marchio attivo principalmente nei mercati di lingua inglese. Ha una banca dati con quasi 1 miliardo di transazioni immobiliari e circa 100 milioni di file di assegnazioni di mutui. E Nielsen, la prima a inventare i dati di ascolto televisivi e radiofonici.

I PROFITTI
«La lista, comunque, non finisce qui - spiega Raffaele Barberio, direttore di Key4biz.it, quotidiano italiano sulla digital economy e sulla cultura del futuro - Cito solo alcuni nomi: Experian, DataLogix, Epsilon data management, Fair Isaac, Lexis Nexis, TransUnion, Intelius, Experian, Harte-Hanks. Va sottolineato che anche il mercato italiano dei dati ha un consistente valore, pur considerando le differenti valutazioni in base alla valorizzazione delle attività solo italiane o quelle effettuate sulla popolazione italiana anche da società che raccolgono i dati dall’estero. Tutti i giganti del web, per esser chiari. Si va da 1 miliardo circa dell’Osservatorio PoliMi (Politecnico di Milano) a oltre 4,6 miliardi dell’Idc institute, che ha svolto nel dicembre 2016 una ricerca sull’argomento su incarico della Commissione europea».

Tutti questi giganti del web mondiali, Cina compresa, dovranno fare i conti, a partire dal 25 maggio, con il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, nel quale - chi vìola le regole - verrà sottoposto a sanzioni molto pesanti, fino al 4 per cento del bilancio societario.

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