Adriana Asti: «Io, da Visconti a Bertolucci attrice per insofferenza»

Adriana Asti: «Io, da Visconti a Bertolucci attrice per insofferenza»
di Simona Antonucci
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Domenica 8 Aprile 2018, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 10:03
«La passione non ha mai guidato le mie scelte. L’insofferenza, sì. La febbre di andare via. E il pensiero che il futuro potesse essere qualcos’altro». Adriana Asti, 86 anni, ha appena concluso la sua tournée italiana con lo spettacolo Memorie di Adriana, fantasie, pensieri, racconti, che prendono vita mescolandosi al teatro. E s’intrecciano con le riflessioni e i ricordi ironici e spregiudicati raccolti nel libro autobiografico, pubblicato qualche mese fa da Mondadori, Un futuro infinito. Un ritratto pieno di sfaccettature di una grande interprete della scena italiana che ha recitato nuda sul palco per Luchino Visconti e che ha scelto un brano di Justin Bieber come soneria del telefono personale. Diretta da Pasolini e Tinto Brass, Bertolucci e Sabina Guzzanti, libera e anticonvenzionale, con il talento di sapersi lasciare ogni cosa alle spalle, si diverte a montare e smontare la sua sorprendente carriera, a scherzare con i suoi amori, a ricordare i suoi grandi maestri.
Visconti in “Old Times” di Pinter la fece andare in scena nuda. E lei accettò senza battere ciglio.
«Certo. Mi esaltava stare sul palco davanti a un pubblico ammutolito. E rendermi conto che il mio corpo riscuoteva successo. Potevo dire qualsiasi cosa e non se ne sarebbero mai accorti. Che sfida. Sentirmi libera anche di recitare nuda. Dimostrare che io potevo permettermi di fare qualsiasi cosa».

Sempre così provocatoria? Non abbassa mai la guardia? Non si intenerisce mai?
«Con gli animali sono buonissima. Le bestioline le amo tutte. I cani, soprattutto. Carlini, Yorkshire, Jack Russell».

E con i bambini?
«Non ne ho avuti. Ma li amo. Ogni tanto, come un lampo, mi viene la tentazione di rapirne uno».

Oltre al nudo che cosa le ha regalato Visconti?
«Un’amicizia straordinaria, irripetibile. Mi ha fatto capire tante cose dell’essere e del vivere. Ho trascorso molte vacanze con lui. Certo, era un po’ tirannico. Un accentratore. Guai ad avere altre compagnie, mentre eri sua ospite».

È stata la prostituta del film “Accattone” di Pasolini. Di lui che cosa ricorda?
«Mi sono separata dal mio primo marito, Fabio Mauri. Da Pier Paolo non mi sono mai allontanata. Nella vita tendiamo a considerarci immortali. Quando lui è scomparso ho reagito malissimo».

Il rapporto con Bernardo Bertolucci.
«Da lui mi sono allontanata. Ma siamo rimasti cari amici».

Tinto Brass e i suoi film.
«Lui è una persona squisita. Mi ha aiutato a dimostrare che potevo fare qualsiasi cosa. Persino i film birichini».

Birichini?
«Ma sì, con lui ho fatto Caligola. Ma anche Paolo il caldo di Marco Vicario o La schiava io ce l’ho e tu no di Giorgio Capitani, mai rinnegati».

Marco Tullio Giordana: rientra anche lui tra i suoi maestri?
«Ha un grande sentimento cinematografico, un uomo pieno di verità di cui spesso si preferisce non parlare. È riuscito ad affrontare il tema delle molestie con sensibilità e lungimiranza. Sarà bello tornare a lavorare con lui».

Sulle molestie lei ha qualcosa da dire?
«Tutti siamo stati molestati. Da una carezza sulla gamba o da una parola fuori posto. Non capisco che senso abbia ricordarselo dopo vent’anni. Io sono stata molestata a quattro anni da una cameriera e non l’ho mai dimenticato».

Una domestica che lavorava a casa sua?
«Sì. Lo dico senza mezzi termini. Ho subìto attenzioni morbose di ordine sessuale. In famiglia nessuno disse mai nulla. Anche se la donna venne allontanata. Quando succedono certe cose, bisogna portarsele dietro tutta la vita. Non c’è possibilità di rimuovere».

L’analisi aiuta?
«Il più bel regalo che ci si possa fare. Dovrebbero frequentarla tutti. E per tutta la vita. Io stavo malissimo quando incontrai Cesare Musatti e Freud. Una ragazza alla deriva. Non mangiavo, vomitavo. Cure del sonno. Poi, un clic. Lentamente, sono diventata padrona di me stessa. Più o meno».

Scappò di casa e approdò in una compagnia di girovaghi.
«Appunto. La mia smania di andare via. Cominciai a fare l’attrice per scappare di casa. Ero già insofferente a certe convenzioni borghesi. Non credo che fossi capace di recitare».

E poi però, Strehler la volle per il suo Arlecchino.
«Lui era come un puma nella foresta. Un’esplosione di istinto. Era il teatro. Dalle luci alla recitazione, possedeva il talento del palcoscenico».

Che cosa è il talento del palcoscenico?
«Essere tutt’uno con qualcosa che non esiste. Il palco è un mondo immaginario».

Gassman aveva quel talento?
«Era sublime anche guardarlo dalle quinte. Quell’uomo era una fortuna della natura».

Si è mai innamorata degli uomini straordinari con cui ha lavorato?
«No. Ero rapita dal talento. E basta».

Si innamora facilmente? 
«Da ragazza, subito dopo la guerra, c’era un risveglio in giro che ti prendeva tutti i sensi. Voglia di vivere. Ma non mi ricordo, in quegli anni, di aver amato qualcuno. Mi affezionavo sentimentalmente. Tanti morosini e morosine».

Anche fidanzate?
«Donne no. Mai. Vagabondaggio sessuale, sì. Sesso allegro».

Il sesso è sempre allegro?
«Può anche essere una tomba. Io sono piuttosto insofferente».

E poi l’incontro con Giorgio Ferrara che ha cambiato la sua vita: come è riuscito a trattenerla tutti questi anni?
«Con lui, la mia esistenza ha preso un ordine piacevole. Ho sentito immediatamente che il mio posto era accanto a Giorgio. Ci vuole tempo per conoscersi. E spazio».

Dopo tanti anni la passione cambia? Svanisce?
«Ripeto, la passione non ha mai dominato la mia vita. I giorni, gli anni che ho trascorso con lui sono stati tutti piacevoli, rassicuranti. Ho imparato ad amare l’abitudine».

Che non è sinonimo di noia.
«La vita non è mai noiosa. Le persone, sì, possono esserlo. Ma con Giorgio c’è una gran complicità e quando capita di affrontare una serata un po’ moscia, lui è la spalla ideale».

Progetti insieme?
«Abbiamo appena chiuso il sipario su Danza Macabra all’Elfo di Milano. La ripresa di una regia di Ronconi. E adesso il mio unico progetto è l’ozio».

È cambiato qualcosa con l’età?
«Nulla. E non ci penso mai. Ne ho 31. Ma è come se ne avessi 30».
 
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