Ilva, non c'è la stretta finale nuovo incontro il 4 aprile

Lo stabilimento Ilva di Taranto
di Giusy Franzese
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Giovedì 29 Marzo 2018, 17:30
Nessuno avvio di una stretta finale. Non nascondono la loro delusione i sindacati al termine dell’incontro al Mise sull’Ilva. Dopo un mese di riflessione, la situazione non è cambiata: non c’è ancora nessuna certezza sul piano industriale, sugli esuberi, sulla continuità contrattuale, sul destino dell’indotto. «Non c’è stata nessuna stretta, siamo al punto di partenza e dopo 6 mesi di trattativa ancora nessun nodo è stato sciolto» dice tra lo sconsolato e l’irritato Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom Cgil. «Un incontro inutile, siamo tornati indietro di diversi mesi» conferma il numero uno Uilm, Rocco Palombella. Secondo Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl, sul tavolo ci sono troppi «tatticismi, ci sono troppe parti che puntano a una melina che tende a prorogare incontri poco risolutori».
Di «melina» da parte degli aspiranti compratori, parla anche l’Usb in una nota a fine incontro: «Nulla è stato messo sul tavolo. Non è chiaro il numero dei presunti esuberi, il mantenimento o meno del salario e dei diritti dei lavoratori ed infine restano tutte le pesanti perplessità sul piano industriale, mentre l’aspetto ambientale rimane fortemente carente».
E così dopo due ore di incontro «di ricognizione» anche la vice ministro allo Sviluppo Economico, Teresa Bellanova, non ha potuto fare altro che prendere atto delle distanze e fissare un nuovo appuntamento per il 4 aprile. Stavolta però - sottolinea Bellanova - per evitare che «la discussione cada nella convegnistica», l’ordine del giorno prevederà un confronto «argomento per argomento» affrontando «ulteriori passaggi di approfondimento per quanto riguarda il piano industriale e quindi il relativo fabbisogno di lavoratori nei singoli stabilimenti». La vertenza, conclude Bellanova, «è una vertenza nazionale».
Certamente pesa sull’esito della trattativa l’attuale fase politica, con un governo dimissionario, senza alcuna idea di chi (e tra quanto tempo) ne prenderà il posto. Resta poi sempre la spada di Damocle del verdetto dell’Antitrust Ue che dovrebbe arrivare i primi di maggio. L’ormai confermata uscita dalla cordata AmInvestco Italy (che si è aggiudicata la gara) da parte del gruppo Marcegaglia, rende sempre più probabile una discesa in campo della Cassa Depositi e Prestiti. Con la quale peraltro il capo cordata, Arcelor Mittal, già a metà dicembre scorso ha sottoscritto un accordo non vincolante in base al quale Cdp acquisterà una parte della quota Marcegaglia (circa il 6%) per un importo di 100 milioni di euro. Ma i vertici Cdp sono in scadenza e la nomina dei nuovi sarà fatta dal prossimo  governo. Cambierà qualcosa? I sindacati chiedono «chiarezza» anche su questo fronte. E la Fiom avverte: «È necessario che Cdp entri nel pacchetto azionario di Ilva con quote significative e un rappresentante nel cda».
Le possibilità che l’intesa si chiuda  entro fine aprile restano quindi scarse.
Ma non manca chi ci continua a sperare. «Tenteremo di usare il mese di aprile per chiudere l’accordo senza esuberi ma l’azienda continua a perdere tempo. E invece bisogna accelerare - dice Bentivogli - perché il vecchio governo ha ancora la possibilità di portare a termine questa trattativa mentre con un nuovo governo si rischia di dover ricominciare da capo anche perché alcune forze politiche hanno detto di voler chiudere l’Ilva». Di certo per il numero uno Fim Cisl occorre «evitare che i problemi siano lasciati lì a stagionare perché più passa il tempo più l’accordo rischia di essere peggiorativo».
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