Centrodestra diviso sui nomi, regge l'asse tra Lega e Di Maio

Centrodestra diviso sui nomi, regge l'asse tra Lega e Di Maio
di Marco Conti
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Venerdì 16 Marzo 2018, 07:46 - Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 07:57

Fratelli coltelli, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Costretti a stare insieme - il primo per potersi definire leader del centrodestra, il secondo per un'oggettiva debolezza - ma distanti sulle strade da seguire. Ufficialmente i due sfoggiano sintonia e continuano a incontrarsi, ma poi ogni partito va per conto suo agli incontri con Pd e M5S sulle presidenze delle Camere e si informa anche su cosa hanno detto gli altri. Ciò che ieri è apparso scontato è che il leader del Carroccio, se vuole presentarsi al Quirinale come possibile candidato premier del 37%, ha assolutamente bisogno di tenere unita la coalizione. E ieri Salvini, evocando la necessità di una nuova legge elettorale con premio di coalizione, ha in sostanza ribadito la necessità di tenere unito il centrodestra.

I PRIGIONIERI
Il Cavaliere però continua fidarsi poco dell'alleato che procede con il meccanismo della ruspa al punto da preoccupare anche coloro che dentro FI sono da tempo accusati di eccessiva confidenza con il leader della Lega. «Non sono l'uomo di Salvini nel partito», ha tenuto ieri a precisare a La7 il governatore della Liguria Giovanni Toti. Il timore che Salvini voglia prendersi il centrodestra senza fare prigionieri, allarma anche coloro che da tempo sostengono l'esigenza di un partito unico. Preoccupazioni alimentate da come il leader del Carroccio sta procedendo nella trattativa per le presidenze delle Camere che, malgrado le smentite di tutti, rischia di intrecciarsi con quella del possibile governo. Unico a non sostenere la tesi delle partite separate è Berlusconi che oltre a ritenere una «sciagura per il Paese un voto anticipato», è convinto che Salvini debba lavorare per stringere con i dem un accordo che porti Giancarlo Giorgetti alla poltrona più alta di Montecitorio e Paolo Romani a quella di palazzo Madama.

L'accoppiata, Romani-Giorgetti, taglierebbe fuori i grillini e sbarrerebbe la strada anche a possibili intese sovraniste e populiste tra Lega e 5S. Salvini però non ne vuol sapere del Pd. Lo ha ripetuto anche ieri, provocando la reazione di Matteo Richetti («Salvini se la canta e se la suona»), e su questo trova sponde in Giorgia Meloni che però dice no anche a patti con i grillini. «Chi lo dice che i grillini debbano avere una delle due presidenze. Anche An a suo tempo fu tagliata fuori e non fu una tragedia», sosteneva ieri in Transatlantico Ignazio La Russa (FdI). Tesi interessante, ma per qualcuno difficile da praticare perché darebbe ai grillini un'altra scusa per tirarsi fuori da ogni ipotesi di governo. Ieri la coppia dei capigruppo 5S, Toninelli-Grillo, hanno spiegato la richiesta della presidenza di Montecitorio sostenendo che alla Camera sono il primo gruppo, con 227 deputati, «e poichè nascerà un governo senza di noi, è giusto che l'opposizione abbia almeno un presidente di garanzia».

LA FINESTRA
A più di una settimana dal voto dei presidenti delle Camere i tatticismi si sprecano e le manovre dei partiti allarmano i grillini che temono di essere tagliati fuori da meccanismi politici che investono anche gli equilibri degli uffici di presidenza che potrebbero rappresentare la merce di scambio con il Pd. I dem sono alla finestra, consapevoli di essere divenuti più importanti sia per le spaccatura nel centrodestra, sia per l'incrinato asse 5S-Lega. Alla linea di rottura con i grillini del Cavaliere, Salvini ieri ha risposto prima rivendicando la Camera per Giorgetti, in modo da spingere FI a votare un 5S, e poi cambiando gioco proponendo per il Senato Giulia Bongiorno in alternativa a quella di Roberto Calderoli, senatore leghista di lungo corso che aspira alla poltrona ma che incontra molte resistenze per via di sue estemporanee passate iniziative. Avvocato, donna, senatrice ma già con esperienza parlamentare per essere stata deputata con An, la Bongiorno potrebbe rappresentare un buon punto di caduta, sempre che FI sia d'accordo, rinunci a Paolo Romani, e voti alla Camera un esponente del M5S.

 

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