Bilancio di 5 anni/ Ratzinger: basta pregiudizi su Bergoglio

di Franco Garelli
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Martedì 13 Marzo 2018, 00:54
Il consenso rimane alto in un popolo di Dio ormai allargato, che comprende anche quanti da tempo erano ai margini della Chiesa o per una fede nebulosa o per situazioni familiari “irregolari”. Tuttavia, la stella di Papa Francesco brilla oggi un po’ di meno rispetto a quando è nata, perlomeno a sentire gli spifferi che vagano sia dentro che fuori la Chiesa.

Luci e qualche ombra, senza dubbio, è il bilancio di questi cinque anni di pontificato. Cinque anni intensi e coraggiosi, ricchi di intuizioni profetiche, ma anche vissuti ”pericolosamente”, perché il vangelo spoglio predicato da Francesco non poteva non produrre resistenze in ogni dove.
Il Papa gesuita, che ha la sua bussola nel discernimento, non si scompone di fronte alle difficoltà. Definisce il suo pontificato «un periodo piuttosto tranquillo». Conosce i suoi detrattori, che individua negli oppositori del Concilio, ma per igiene mentale non frequenta i loro siti internet. È ben consapevole che tutti i grandi cambiamenti producono ostilità, prova dispiacere ma è convinto che occorra andare avanti. Si consola ricordando la previsione degli storici: «Ci vuole un secolo prima che un Concilio metta radici». A suo dire, siamo a metà strada. Al di là delle riserve e dei pettegolezzi, sono molte le novità introdotte dal pontificato di Francesco. Non c’è solo lo stile semplice e asciutto con cui egli interpreta il suo alto ruolo, che lo rende più prossimo alla gente comune che alle logiche del palazzo, più propenso a mescolarsi con il popolo che a stare sul piedistallo. Oltre a questi segni ricchi di sostanza, sono tanti gli stimoli e i progetti lanciati da Francesco per rendere la Chiesa più feconda e al passo dei tempi. 

Tra questi, la necessità di proporre il vangelo tenendo conto delle diverse culture e dei diversi popoli a cui è destinato, superando l’equivoco che l’unica forma credibile del cristianesimo sia quella “occidentale”, da mantenere nel tempo e da “esportare” in tutti i continenti. O i pressanti inviti del Papa alla Chiesa a riconoscere e favorire la fede del popolo, come una risorsa di senso che ha cittadinanza non soltanto nelle periferie del mondo, ma anche in quelle nazioni secolarizzate che tendono a valorizzarla più come un’identità etnico-culturale che come una fonte spirituale. Altra novità introdotta da Bergoglio riguarda il tono più morbido con cui affronta – rispetto ai suoi predecessori – le questioni etiche e la collocazione della Chiesa nello spazio pubblico. Sin da subito si è smarcato dalle battaglie identitarie condotte da una parte del mondo cattolico ed è apparso comprensivo nei confronti di quanti vivono situazioni personali accidentate. Non manca certo di ribadire i principi della dottrina nei vari campi, ma il suo messaggio è ormai privo degli ultimatum a cui eravamo abituati. Inoltre non perde occasione nel ricordare che la proposta cristiana è il punto di arrivo, non di partenza, di un’appartenenza ecclesiale; o che «si può essere in regola senza una reale vita di fede, e si può essere non in regola ma avere una ricerca di Dio che merita di essere considerata e valorizzata». Infine quella di Francesco si presenta come una Chiesa che a livello globale ha operato delle precise scelte preferenziali, che via via hanno riguardato gli ultimi, gli stranieri, gli scarti dell’umanità e dell’economia, i popoli oppressi; e che sui destini del mondo continua a produrre delle narrazioni che interpellano le coscienze di molti.

Tuttavia, anche l’attuale pontificato non sembra privo di alcuni limiti che lo rendono solo parzialmente incisivo. Tra questi, la difficoltà del Papa di venire a capo dei molti nodi che condizionano la struttura ecclesiale e che egli pur evoca ripetutamente, ogni qual volta accenna alla riottosità della Curia romana, al carrierismo del clero, alle lobby che dividono le comunità religiose. Ci si può chiedere, al riguardo, quanto le denunce siano accompagnate da un investimento organizzativo (e di risorse umane qualificate) capace davvero di modificare antichi e dannosi equilibri. Vi è poi il sospetto che il progetto di rinnovamento della Chiesa innescato dal Papa (sui temi della sinodalità, sulle aperture in campo etico, sul rapporto tra la fede cristiana e le culture dei diversi Paesi e continenti) abbia fondamenti esili, se esso non viene supportato da una riflessione teologica e culturale che impegni in ogni area del mondo le migliori risorse della cattolicità. Bergoglio ha innescato certamente su molti temi un movimento nella Chiesa, che rischia però di avere “gambe corte” se non produce approfondimento e condivisione.

Si può ancora accennare ad una perplessità relativa al rapporto del Pontefice con il nostro Paese. La fiducia della gente nei suoi confronti è assai diffusa, testimoniata dalle folle dei fedeli che desiderano incontrarlo, dagli esponenti del mondo laico che lo ritengono un autorevole interlocutore, dalle molte persone che apprezzano il suo stile di pastore e anche le sue coraggiose prese di posizione su temi che pur lacerano le coscienze. Tuttavia, il sentire positivo che attornia la figura del Pontefice non si riscontra per l’insieme della chiesa italiana o per chi ne guida le sorti. Mentre Francesco è al centro di un grande riconoscimento pubblico, i Vescovi italiani nel loro complesso sembrano vivere un po’ nell’ombra e in parte incerti; in ciò venendo meno anche al mandato del Papa a ogni conferenza episcopale di essere un punto di riferimento per le singole nazioni. Questo gap di consenso può avere varie spiegazioni. Fors’anche quella che, negli ultimi anni, l’episcopato italiano pare carente di figure di grande rilievo culturale e profetico, capaci di interpretare le nuove sfide che attendono la Chiesa. Vi sono certamente molti pastori votati all’impegno solidale e spirituale, la cui presenza è preziosa per le varie comunità. Ma oltre ad essi sembrano mancare quei leader che nel passato avevano allargato gli orizzonti della Chiesa. Tutto ciò chiama in causa anche i criteri con cui vengono scelti quanti sono chiamati a presiedere le comunità ecclesiali. La chiesa, infatti, si compone di carismi diversi, tutti utili a far crescere non solo il popolo cristiano ma anche gli uomini di buona volontà. 
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