Partecipate, a rischio i tetti agli stipendi dei dirigenti

Partecipate, a rischio i tetti agli stipendi dei dirigenti
di Sonia Ricci
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Lunedì 12 Marzo 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 19:13
Sono stati previsti fin dalla legge di Stabilità del 2016 e rilanciati dal decreto di riforma delle società partecipate della ministra Marianna Madia approvata definitivamente dell’anno scorso, ma il nuovo sistema di tetti agli stipendi dei manager delle aziende partecipate dallo Stato e dai Comuni (quotate escluse) non ha ancora visto la luce. Le nuove soglie avrebbero dovuto portare un abbassamento del trattamento economico dei vertici delle oltre 8 mila aziende pubbliche, facendo scendere l’ultima fascia di reddito al di sotto dei 100 mila euro lordi all’anno. La scadenza per mettere a punto il provvedimento era fissata per il 23 ottobre del 2016, poi rinviata di qualche mese con il ritocco della riforma delle Partecipate deciso a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato illegittimo il meccanismo stabilito per l’attuazione della legge. I tempi di scrittura delle nuove regole, insomma, si sono dilungati a dismisura e quasi a un anno della scadenza dei provvedimenti ancora non c’è traccia. 

I TEMPI
In realtà, i testi, che devono passare al vaglio della Conferenza Unificata, dove siedono i rappresentanti di regioni ed enti locali, sono due: un decreto del ministero dell’Economia e uno del presidente del Consiglio. Nel primo - che dovrà essere esaminato anche dalle commissioni Parlamentari - saranno inserite le cinque nuove fasce con altrettanti limiti ai compensi, sostituendo le tre già in vigore, da fissare anche in base a criteri come il valore della produzione dell’azienda, gli investimenti e il numero di dipendenti. Mentre il secondo dovrà elencare i requisiti da rispettare per la scelta dei vertici, ossia «onorabilità, professionalità e autonomia». Di entrambi se ne sta occupando il Tesoro, in particolare la direzione Finanza e privatizzazioni con a capo Antonio Turricchi. Sull’adozione di entrambi, è facile scommettere, che i tempi saranno ancora lunghi. E, arrivati a questo punto, con trattativa per la formazione del nuovo governo in corso, è verosimile ipotizzare che sarà il nuovo Parlamento ad esaminare il decreto ministeriale con le nuove fasce. Con tutte le incognite legate alla formazione di governo che guiderà il Paese. 

Il passaggio è importante sul piano politico nell’ottica della riduzione dei costi delle ex municipalizzate che ha animato fin dall’inizio gli obiettivi dichiarati della riforma Madia. Con il primo piano di dismissioni, una società su tre di quelle censite dal Mef alla fine del 2017 dovrebbe essere chiusa già alla fine di quest’anno. Di conseguenza si ridurrà anche il numero dei manager, che attualmente sono circa 20 mila. 

LE RETRIBUZIONI
Oggi la gerarchia retributiva dei manager delle società partecipate è declinata su tre scalini: il tetto massimo annuale per legge è di 240 mila euro lordi e riguarda le società più grandi, e a 120 mila quello delle aziende più piccole. La fascia di mezzo, per le aziende medio-piccole, oscilla tra i 200 mila e i 150 mila euro in base ai tre parametri già citati: produzione, risorse investite e numero dei dipendenti che lavorano negli uffici. A queste se ne dovranno aggiungere altre due. Nel mirino della riforma Madia ci sono soprattutto le società più piccole, che non raggiungono un fatturato medio in tre anni di un milione di euro o che hanno più manager che dipendenti e che sono destinate ad essere dismesse. In ogni caso, per le società più modeste che rimarranno in vita sarà prevista una riduzione degli stipendi. Al vaglio ci sono ancora diverse ipotesi messe alla prova sui database ministeriali per valutare gli effetti. Tra le opzioni, di cui si parla da tempo, ci sarebbe quella di fissare poco sotto i 100 mila euro il limite nelle aziende minori, arrivando addirittura a toccare 96 mila euro. Per i manager devono inoltre essere definite le nuove regole relative alla parte variabile dello stipendio (i bonus, ad esempio), che dovrà comunque rientrare nei nuovi limiti. Oltre agli stipendi degli amministratori e dirigenti, il decreto dovrebbe ritoccare anche le buste paga dei dipendenti, ma la materia è ovviamente contrattuale e difficilmente troverà spazio nel testo. 
 
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