Elezioni, il ribaltone della Sicilia: 28 a zero per i 5Stelle

Elezioni, il ribaltone della Sicilia: 28 a zero per i 5Stelle
di Antonio Calitri
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Martedì 6 Marzo 2018, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 16:03
La sconfitta siciliana ha fermato la vittoria nazionale del centrodestra. La sconfitta del centrodestra siciliano, a soli quattro mesi dalla vittoria di Nello Musumeci alle regionali, ha contribuito in maniera determinante alla mancata vittoria nazionale del centrodestra. La più grande isola d'Italia si è trasformata nel nostro Ohio e come lo stato statunitense che ha deciso i destini della Casa Bianca, torna a dare le carte per la guida dell'Italia dopo che lo aveva già fatto diciassette anni fa. Il centrodestra in soli quattro mesi e per una serie di errori e leggerezze si è giocato il vantaggio che aveva sul Movimento 5 stelle, capace di ribaltare il piatto e i destini della vigilia e aggiudicandosi tutti e 28 i collegi uninominali (19 alla Camera e 9 al Senato) e circa la metà di quelli plurinominali.



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LA RIMONTA
Una vittoria che assomiglia tanto a quel 61 a zero per il centrodestra del 2001 ma che ha ancora di più il sapore dello sberleffo se si considera che soltanto lo scorso novembre i pentastellati che allora erano dati in vantaggio per la conquista dell'Assemblea regionale siciliana presero appena il 26,7% come formazione politica mentre il loro candidato governatore Giancarlo Cancelleri, grazie al voto disgiunto, raggiunse il 34,7%. Non bastò contro il 39,8% di Musumeci e addirittura il 42,1% dell'alleanza di centrodestra che lo sosteneva.

Che la Sicilia potesse essere determinante lo aveva capito il forzista Renato Schifani che in un'intervista alla vigilia del voto aveva detto che «l'esito di queste elezioni si misura al Sud. Se si vince in Sicilia il centrodestra avrà la maggioranza e Forza Italia vincerà anche la corsa alla coalizione per la leadership». Se oggi la regione nei grafici risulta tutta gialla, il colore che viene attribuito al M5s, quattro mesi fa non era tutta blu ma era quasi metà e metà ed era contendibile sia dal centrodestra che da M5s mentre il centrosinistra era già scomparso.

I cinquestelle avevano vinto, spesso di misura, nelle province di Trapani, Agrigento, Enna, Siracusa e Ragusa, mentre quelle politicamente più importanti di Palermo e Catania, oltre a Caltanissetta e Messina erano andate al centrodestra con il record di quest'ultima, stravinta dall'attuale governatore con il 47,6% contro il 27,2% del grillino. Domenica i candidati M5s hanno stravinto anche senza mostrare il volto. E' davvero accaduto per Piera Aiello, testimone di giustizia che per ragioni di sicurezza non ha mai fatto vedere la sua faccia eppure a Marsala, sulla fiducia, ha conquistato il 51% dei voti contro il 30% della candidata di centrodestra Tiziana Pugliese, per fare l'esempio più clamoroso.

Uno degli errori del centrodestra nell'isola è stata la scelta delle candidature. Ha puntato sui vecchi arnesi una volta campioni della raccolta di consensi ma con situazioni spesso discutibili e alcuni bollati da una parte della stampa come impresentabili. Uno di questi, è stato l'ex presidente dell'Ars Francesco Cascio, andato alla sfida con un processo per compravendita di voti, che a gennaio è stato rinviato al prossimo 3 aprile e sconfitto in quello che doveva essere il fortino di Palermo per 48,15% contro il 30,79 da Aldo Penna, grillino dell'ultim'ora. E sono stati sconfitti tanti altri campioni del consenso come Antonello Antoniro, Saverio Romano e Raffaele Stancanelli, che come sponsor aveva proprio il governatore.

BILANCIO DELUDENTE
Oltre ai candidati che sono risultati sbagliati, a incidere però sono stati i primi mesi di lavoro della maggioranza di centrodestra. Partita con il famoso inciucio tra Forza Italia e il Pd per l'elezione alla presidenza dell'Ars di Gianfranco Miccichè. Proprio a fine anno poi, lo stesso Miccichè ha compiuto il grosso passo falso di avallare la fine del tetto agli stipendi dei funzionari regionali che gli ha portato una pioggia di critiche tanto da costringerlo al parziale dietrofront. Anche il governatore non è stato da meno e anche lui è scivolato proprio sulla questione degli stipendi d'oro, accettando senza fare una piega le dimissioni a tempo di record del suo assessore all'energia Vincenzo Figuccia, che aveva attaccato Miccichè sulla questione spiegando di andarsene per rimanere fedele al mandato degli elettori: La mia maggioranza è la gente che ha creduto in un'azione di cambiamento e di discontinuità».
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