Il lieto fine, lo diciamo subito, non c’è: perché gli uffici pubblici spediscono sempre una risposta che bolla la richiesta come improcedibile. Eppure, nonostante l’esito forse non del tutto imprevedibile, domande di questo tipo continuano a moltiplicarsi e ad accumularsi sulle scrivanie degli impiegati pubblici.
SCRIVANIE INVASE
Solo al terzo piano di via Luigi Petroselli, dove ha sede l’Anagrafe centrale del Comune di Roma, ce n’è una pila che lascia sbigottiti. In quattro anni questo tipo di istanze è aumentato del 700%: si è passati da 40-50 richieste l’anno, alle 400 attuali. È un trend, come dicono gli esperti di statistica, in crescita continua. Problemi simili, anni fa, si sono registrati anche a Torino e Bologna. Si dirà: ma che male c’è se qualcuno rimane affascinato dalla storiella dell’«atto di nascita che rende schiavi» e spedisce la propria richiesta (poi puntualmente cassata dal Comune)?
«Il problema è che tutto questo ci porta via un mucchio di tempo – si sfoga un impiegato dell’anagrafe capitolina – Tempo che dovremmo sfruttare per i servizi davvero utili ai cittadini». Invece no. Per ogni lettera tocca avviare il farraginoso iter comunale, perché molti dei seguaci del “Popolo Unico” si fanno avanti con tanto di avvocati (arruolati alla causa, per convinzione o per guadagno) e minacciano addirittura l’«inadempienza della pubblica amministrazione» prevista dalla legge, pur di ottenere comunque una risposta, anche se negativa.
«TUTTO MAIUSCOLO»
Dicevamo delle maiuscole e minuscole. Il trucco dello Stato – anzi dello «Stato Corporation Italia», come è stato ribattezzato - secondo gli adepti del “Popolo Unico” nascerebbe quando mamma e papà ci registrano all’Anagrafe e sull’atto viene annotato nome e cognome. «Tutto in maiuscolo». Chissà perché, proprio questa scritta in stampatello, secondo la bizzarra dottrina, creerebbe un «soggetto giuridico», che ci fa finire «sotto la giurisdizione dello Stato, ci accolla una parte di debito pubblico e si è soggetti a tutte le ingiuste imposizioni fiscali che hanno solo il fine di mantenerci in schiavitù».
Per liberarsi dalle catene tocca seguire l’iter suggerito dal sito del “Popolo Unico”: si va all’Anagrafe – ma c’è anche chi spedisce la richiesta al Ministero dell’Economia... - e poi si chiede «l’autocertificazione di Esistenza in Vita» e l’«autocertificazione di legale rappresentante di se stesso» (dove nome e cognome va riportato «tutto in maiuscolo», è la dritta di chi ci è già passato ai novellini). «Qualcuno ha già assediato gli uffici per essere cancellato dal trust creato dallo Stato», si legge su vari forum. «Come nelle migliori favole, abbiamo scoperto che per togliersi da questo meccanismo perverso fatto di tasse, tributi e debito pubblico è sufficiente compilare un’autocertificazione», rivela il sito del Popolo Unico. Spiega invece Angelo Cremonese, professore di Economia dei Tributi all’università Luiss: «Non è questione di anagrafe, si può sfuggire al Fisco solo se si è davvero “fantasmi”, cioè nullatenenti».
È una favola, appunto, ma molti ci credono. Peccato che la bolla si sia gonfiata a tal punto che per molti uffici è diventata troppo molesta. A Roma, per dire, si sta pensando a un’exit strategy legale, ma servirà l’avallo della Prefettura: chi sarà troppo pressante nel chiedere la «cancellazione dalla schiavitù dello Stato» (c’è chi spedisce anche 3-4 istanze l’anno) potrebbe ritrovarsi con una denuncia per turbativa della pubblica amministrazione.
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