I conti dell’austerity/ La cura greca banco di prova per correggere i falchi della Ue

di Giulio Sapelli
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Martedì 16 Gennaio 2018, 00:05
La Grecia continua a essere un punto di riferimento per capire quale potrà essere il futuro dell’Europa. Una domanda tanto più importante in queste ore, quando in Germania la crisi di governo non è ancora conclusa per le resistenze che l’Spd manifesta in merito al programma di austerity che sino a oggi costituisce il cuore della politica economica dell’Unione Europea. 

Nell’agosto del 2018 scadrà il piano di bail-out, ossia il terzo piano di salvataggio che ha determinato, come i precedenti, la nuova fisionomia dell’economia e della società greca. Se si fa riferimento ai rapporti finanziari della Grecia con i mercati internazionali, i dati sono positivi: lo spread tra i titoli pubblici nazionali e il decennale tedesco ha raggiunto quota 336, livello più basso dal 2010 e dopo aver raggiunto il picco di 3.440 nel 2012. Se ragioniamo sulla base di questi dati possiamo essere ottimisti, come lo sono molti dei tecnocrati europei e come lo è stato recentemente il commissario Pierre Moscovici; e possiamo pensare che dopo l’agosto 2018 la Grecia potrà fare da sé senza bisogno di salvataggi internazionali. 

Del resto, il piano d’intervento fatto proprio dall’Ue sotto la pressione del Fondo monetario internazionale, è stato il più imponente della storia, per un totale di 326 miliardi di euro.

Già nel settembre 2017 i ministri delle Finanze dell’Unione Europea avevano dichiarato l’uscita della Grecia dalla procedura per deficit eccessivo, cui era stata sottoposta per l’elevato rapporto deficit/Pil, giunto oltre il 15%. Oggi quel valore è decisamente migliorato e si prevede che scenda sotto il 3%, come del resto è indicato dal Patto di stabilità. Ma se si guarda alle conseguenze sociali di queste misure di austerità, emerge una situazione che è tutt’altro che positiva.

Dal 2010 la Grecia ha perso un terzo del suo Pil e mezzo milione di greci sono emigrati all’estero mentre, nello stesso arco di tempo, il 20% più povero della popolazione ha perso il 42% del potere d’acquisto e il tasso di disoccupazione ruota attorno al 21%, ossia tra i più alti d’Europa, nonostante la diminuzione che è avvenuta negli ultimi due anni. Se si guarda poi agli stipendi medi e ai redditi dei lavoratori, questi sono costantemente diminuiti, con un incremento spettacolare della povertà e un abbassamento drastico dei redditi dei pensionati. Del resto, gli aiuti che sono giunti alla Grecia, sono serviti per pagare il debito ai creditori internazionali e dell’Ue, ma non per dar vita a nuovi investimenti oppure per ridurre in minima parte l’austerità per avere spazio di manovra rispetto alle emergenze, come quelle dei flussi migratori che hanno profondamente colpito l’economia greca.

Vale la pena di considerare anche, cosa che in genere non viene fatto, che i soli settori dell’economia greca che sono migliorati sono quelli in qualche modo connessi alla stessa situazione di crisi che ho ora richiamato. Si conferma così la tesi dell’economista Albert Hirschman che, studiando settant’anni or sono le crisi dell’America del Sud, riteneva che più che i piani di salvataggio, per la ripresa economica di quei paesi bisognava piuttosto puntare sullo sviluppo endogeno, guardando proprio alle modificazioni strutturali prodotte dalla crisi. La Grecia è un esempio di questo: il turismo ha avuto uno sviluppo spettacolare per il crollo del prezzo dei servizi dovuto alla deflazione in corso, mentre il settore manifatturiero che più è cresciuto - peraltro tra i pochi ad aver aumentato produzione ed esportazione negli ultimi cinque anni (64%) - è quello della produzione di alcolici, grazie al ritorno nelle campagne e nelle isole delle famiglie impoverite che prima vivevano nelle città e che, con i loro risparmi, hanno rimesso in moto le produzioni agricole e agro-industriali tradizionali.

Anche l’olio di oliva ha aumentato non solo la qualità ma anche la quantità, prodotta ed esportata. Il tutto usando spesso le catene migratorie, ossia la diaspora greca all’estero, soprattutto in Australia e negli Stati Uniti. D’altra parte, settori stabili sono rimasti l’industria chimica e tutte le attività legate al trasporto, per l’arrivo di investimenti stranieri connessi soprattutto alle privatizzazioni dei porti e delle imprese del trasporto locale, dei porti e degli aeroporti.

I costi sociali sono tuttavia altissimi, e la società greca oggi, che comincia a sentire il leggero miglioramento della situazione economica, proprio per questo ha dato vita a un’ondata di mobilitazione collettiva che si è espressa soprattutto con i grandi scioperi di massa che si sono via via ampliati raggiungendo, in questi giorni, un livello sinora mai visto. Dinanzi a tali mobilitazioni, ispirate soprattutto dagli antichi quadri del Partito comunista dell’interno e della stessa Syriza (il partito del premier Alexis Tsipras), il governo non ha saputo fare altro che emanare una nuova legge che innalza il quorum del referendum, che già oggi è necessario per proclamare legalmente uno sciopero, sconfessando così le stesse promesse elettorali di Tsipras che quel referendum dichiarava di voler eliminare.

Sicché imponenti sono gli scioperi nel settore pubblico, guidati da un carismatico dirigente del movimento operaio, Odyssseus Trivalas, fatto che crea non poche difficoltà al governo e in primo luogo a Tsipras. Il governo greco è così stretto tra Scilla e Cariddi. Da un lato se si obbedisce alle misure imposte dalla Troika si può pensare di riconquistare una sorta di nuova indipendenza nella politica economica: prospettiva che nell’ultima visita di Tsipras negli Stati Uniti ha avuto l’incoraggiamento di Donald Trump e della direttrice del Fmi, Christine Lagarde. Entrambi hanno ribadito che, oltre al programma di salvataggio in corso, si dovrà passare alla cancellazione del debito greco, per aumentare - ha affermato Trump - la cooperazione economica Grecia-Usa.

Ma se si guarda verso Cariddi, si corre il rischio di perdere le prossime elezioni che si terranno nel 2019, sfidando quell’innaturale coalizione di governo tra Syriza e Anel, partito della destra nazionalista. I sondaggi danno in testa oggi il partito di centro-destra Nea Demokratia, con il 33%, mentre Tsipras è al 15,5% e Anel al 7,5%.Per questo l’obiettivo principale di Tsipras, oggi, è di ottenere una ristrutturazione del debito, raggiungendo una scadenza decennale, così da poter attuare delle politiche espansive, senza più carichi fiscali e attacchi all’occupazione, soprattutto nel settore pubblico. Se il governo greco raggiungerà quest’obiettivo, sarà evidente che è possibile intravedere una via alternativa all’austerità, così come sta accadendo con successo in Portogallo. Quella civilissima nazione troppo dimenticata ma che potrebbe avere, unitamente alla Grecia, un ruolo esemplare per rinnovare profondamente l’Unione Europea.
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