Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Nikola Tesla, il domatore di elettroni che creò il Ventesimo Secolo

Nikola tesla
di Riccardo De Palo
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Lunedì 8 Gennaio 2018, 13:31
Dici Tesla e pensi all'auto elettrica creata da Elon Musk, o - se sei un tecnico - all'unità di misura omonima, che indica la densità del flusso magnetico. Ma Nikola Tesla - scomparso 75 anni fa a New York - non è stato soltanto lo scienziato a cui dobbiamo, tra l'altro, la corrente alternata e le trasmissioni radio. È stato un vero personaggio da romanzo. Guardi le foto d'epoca, e vedi un signore allampanato e baffuto, di altezza considerevole, che pare un uccello notturno. Un uomo divorato dalle sue ossessioni, più simile al conte Vlad, o al dottor Frankenstein, che a uno scienziato da Nobel. Eppure si dice che sia stato proprio lui, santo patrono dell'elettricità ad inventare il ventesimo secolo.

Einstein e Marconi sapevano come far fruttare le loro idee; Tesla dei soldi aveva una pessima opinione. Quando vinse la sfida con Edison e impose al mercato l'energia elettrica che oggi muove il nostro mondo, George Westinghouse non gli diede che pochi spiccioli. E quando l'Accademia di Stoccolma decise di assegnare il premio per la trasmissione senza fili al rivale italiano, invece che a lui, non si scompose più di tanto. «Il denaro non ha tutto quel valore che gli uomini gli hanno attribuito - disse con amarezza - tutto quello che avevo l'ho investito in esperimenti, permettendomi di giungere a scoperte che hanno contribuito a migliorare la vita dell'uomo».
Nato nel 1856 a Smiljian, un villaggio dell'attuale Croazia, da una famiglia serba, Tesla era un cittadino austro-ungarico. A Belgrado, oggi è una sorta di eroe nazionale; e le sue ceneri riposano in una sfera di metallo, esposta nel museo che porta il suo nome. Ma fu in America che Tesla trovò il terreno più fertile per portare a termine i suoi esperimenti.

Genio e follia, si sa, vanno a braccetto. All'Università di Praga il giovane studente serbo stupì gli insegnanti con la sua memoria prodigiosa, mostrando di saper ricordare il contenuto di tutti i libri di Voltaire; ma già cominciava a soffrire di disturbi psichici, di vere e proprie allucinazioni. Pensava a un concetto, e vedeva come un lampo. La sua mente, come le macchine che avrebbe creato più tardi, sembrava capace di alternare positivo e negativo, lucidità e pazzia, innovazione e delirio.

Tesla lavorò prima a Budapest e poi a Parigi, per poi tentare a 28 anni il grande salto negli Stati Uniti, nell'azienda di Edison, la General Electric. La lettera che lo raccomandava recitava così: «Conosco due grandi uomini: uno siete voi, l'altro è questo giovane».

Lo scrittore Jean Echenoz racconta la sua vita in Lampi, ma decide di mutarne il nome in Gregor: un modo per prendere le distanze, per sottolineare che si tratta di finzione romanzesca; ma anche per echeggiare il nome del protagonista de La metamorfosi di Kafka. Al contrario di quel Gregor (Samsa), Tesla si ritrova - da alieno qual è - e non senza orrore, nel corpo di un uomo.

Possiamo elencare i successi (e gli abbagli) di questo genio dall'aspetto di un corvo, gli esperimenti con i fulmini, le scariche elettriche che affascinavano (e terrorizzavano) i suoi contemporanei. Fu il primo a studiare i raggi X e a ipotizzare l'esistenza dei raggi cosmici; pensò a una macchina volante, ma non seppe apprezzare la Teoria della Relatività di Einstein; voleva creare un'arma definitiva, che venne soprannominata il raggio della morte - un'idea tutt'ora vagheggiata dal Pentagono, e celebrata nella saga di Guerre Stellari. «Gli inventori sono i creatori del mondo, dopo Dio», disse una volta Mark Twain, suo buon amico.
I
Ma Tesla era, principalmente, un uomo solitario, che si aggirava per le conferenze col bastone e il cilindro, afflitto da crescenti ossessioni. Cenava da solo al Waldorf Astoria, dove viveva accumulando debiti, ed era rigorosamente, come si direbbe oggi, vegano; il numero tre ricorreva in ogni sua azione; non sopportava gli obesi (lui superava a stento i sessanta chili) e rifuggiva, in particolare, dalle donne, specialmente quelle che avessero orecchini di perle. Quando si rifugiò a Colorado Spring, per compiere in pace i suoi esperimenti, registrò tracce di ciò che credeva fossero trasmissioni extraterrestri. Alla fine della sua vita, quando trovò riparo al New Yorker Hotel (nella stanza 3327 che esiste tuttora), raccoglieva mangime da distribuire ai piccioni di Central Park. I pennuti, a volte, lo seguivano fino alla sua suite; era particolarmente affezionato a una colomba di colore bianco. Quando morì, anche Tesla si sentì prossimo alla fine.
 
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