LE REGOLE
A stabilirlo è una legge su tutt’altro tema (“Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”) approvata dal Parlamento il 3 agosto. Nel testo è stata però inserita una norma specifica - passata inosservata in piena estate - che recepisce la direttiva europea per ridurre il consumo di sacchetti di plastica e incentivare l’uso di quelli biodegradabili. Come sempre, in molti contavano su una sicura proroga, che però non è arrivata. Anzi il ministro all’ambiente Galletti ha pure escluso ogni deroga: nessuna scusa per chi non è pronto o tenta di smaltire i vecchi sacchetti ancora in magazzino. Espressamente vietata anche la possibilità di usare sacchetti riciclabili, come consentito invece per i contenitori in uso alle casse. Insomma, per dirla in “legalese”, il combinato disposto di norme a tutela dell’ambiente e di regole di sicurezza alimentare e di igiene, faranno lievitare i costi della spesa seppure di pochi euro l’anno. Il conto non è facile, ma Roberto La Pira, direttore della newsletter specializzata “Il fatto alimentare” ha provato a farlo. «I sacchetti attualmente distribuiti gratis – calcola - costano al supermercato poco più di 1 centesimo di euro a pezzo. Per quelli nuovi biodegradabili l’importo raddoppia (da 1,8 a 2 centesimi). Per questo motivo ci sembra corretto fare pagare al massimo 2 centesimi a busta, equivalenti a un esborso mensile di circa 1 euro per una famiglia di 3 persone che utilizza una cinquantina di sacchetti al mese. Facendo pagare 2 centesimi, la grande distribuzione ne trarrà comunque un vantaggio economico, perché copre i costi di acquisto, e non deve più accollarsi la spesa delle buste finora distribuite gratis».
Due centesimi sembra essere la cifra che le catene della Gdo sono orientate a chiedere. Ma se Coop, Carrefour, Conad, Esselunga, Auchan, insomma i big sono, – volenti o nolenti – pronti ad adeguarsi, la Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione della Confcommercio invoca ancora la deroga a nome dei piccoli negozianti. «Occorre assolutamente una proroga – chiede la presidente Donatella Prampolini – per far capire a livello europeo le criticità». Ovviamene ha parere opposto il presidente dei produttori, Marco Versari di Assobioplastiche. «Questa norma – afferma – è necessaria per aumentare la consapevolezza del pubblico in merito agli impatti ambientali delle buste di plastica e liberarci dall’idea che la plastica sia un materiale innocuo e poco costoso». Assobioplastiche calcola in Italia un consumo annuo tra i 9 e i 10 miliardi di sacchetti per la frutta e verdura e i prodotti gastronomici, ipotizzando una media di 150 sacchetti all’anno per ogni italiano.
LE CARATTERISTICHE
Fatto sta che dal primo gennaio le buste in uso nei reparti di frutta e verdura, ai bancone del pane e della gastronomia, dovranno avere uno spessore inferiore ai 15 micron (micrometri) ed essere biodegradabili e compostabili, contenendo almeno il 40% di materia prima da fonte rinnovabile. La percentuale salirà al 50% nel 2020 e al 60% l’anno dopo. La legge, proprio per disincentivare l’uso della plastica, impone che comunque il sacchetto venga pagato. L’Italia è stata in questo senso più realista del re, perché vieta espressamente la possibilità di usare propri contenitori riutilizzabili. Il ministero dell’Ambiente rimanda a un regolamento che dovrà essere redatto dal Ministero della Salute per quanto riguarda gli aspetti igienici e sanitari. E comunque sarebbe impossibile per i negozianti superare i problemi logistici legati alla pesatura degli acquisti. Così come sembra difficile pensare di insaccare nella stessa busta peperoni e mele, arance e broccoli come qualcuno propone.
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