LA SFIDA
Si tratta di capire, però, fino a che punto gli istituti giocheranno questa partita: il peso degli Npl incombe. E tuttavia, secondo il rapporto «Ready for the breakthrough» di Pwc nel 2018 saranno tagliati altri 70 miliardi (a fine 2017 sono già stati ridotti a 250 miliardi dal picco di 341 miliardi del 2015). Averli dimezzati in soli tre anni non è impresa da poco, e questo forse aiuterà.
Nel mondo intanto è la Cina a guidare la corsa delle Fintech, seguita a ruota dagli Stati Uniti. Da quelle parti la digitalizzazione del sistema finanziario è già da oltre un decennio uno stile di vita e la tessera contactless per i pagamenti è già archeologia. Dal pagamento del taxi ai prestiti delle Pmi si fa tutto con lo smartphone. E dunque, dall'home banking ai pagamenti elettronici, dai servizi di analisi dei dati al mobile payment, dai prestiti peer-to-peer alle criptovalute (la più celebre è il Bitcoin) al crowdfunding, c'è un po' tutto nel calderone Fintech. E non c'è da stupirsi se in questo contesto Google e Amazon hanno già erogato miliardi di prestiti alle Pmi.
Secondo PitchBook, nel 2016 sono stati investiti 17,4 miliardi di dollari (+11%) nelle start-up Fintech. Nel 2014 si parlava di 12 miliardi, in crescita di 4 miliardi sull'anno prima secondo l'autorevole Economist. Per l'Osservatorio Fintech and Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano, tra il 2014 al 2017 circa 730 startup Fintech nel mondo hanno raccolto finanziamenti per 25,7 miliardi.
Che significa? Che la progressiva smaterializzazione, l'accesso facilitato alle informazioni, un'interconnessione spinta, l'intelligenza artificiale e algoritmi sempre più sofisticati metteranno sempre più alla prova il settore bancario. Piattaforme e sistemi digitali creano dei canali diretti con l'utente riducendo sempre più il bisogno di intermediari come banche o consulenti finanziari. In breve, la diffusione della tecnologia Blockchain, sarà paragonabile alla diffusione di Internet. Sarà la nuova Internet delle transazioni visto che permette la creazione di un gigantesco libro mastro pubblico con pagamenti, scambio di informazioni, trasferimenti di beni e servizi - crittograficamente sicuro - tutti pienamente condivisibili tra più nodi di una rete.
Di fronte a questa autentica rivoluzione, in quale posizione è l'Italia? Secondo l'Abi, nel nostro Paese già agiscono 136 Fintech con 145 iniziative, di cui 53 per piattaforme sulla raccolta online. Inoltre, più del 70% delle banche italiane dicono di aver già sviluppato relazioni con startup e Fintech. L'opportunità della digitalizzazione sembra dunque ben presente tra gli istituti.
Del resto, la spesa delle banche in tecnologia ha raggiunto 4,5 miliardi. C'è però il nodo «del terreno di gioco livellato», avverte da tempo l'Abi, «un nodo che sta penalizzando le banche rispetto ai nuovi player non bancari». Il riferimento è a un'analisi dell'Eba secondo la quale «quasi il 40% di queste entità non è soggetta ad alcun regime regolamentare e c'è addirittura un 8% di area grigia che non si riesce nemmeno a collocare». Di ciò dovrebbe tenere conto Bruxelles nelle Comunicazioni sul settore che pubblicherà entro gennaio.
Ma anche la Bce, il Comitato di Basilea e l'Eba hanno già avviato puntuali consultazioni sul tema. Intanto l'Europa ha cercato di adeguarsi attraverso la seconda Direttiva sui servizi di pagamento (PSD 2) che entrerà in vigore a gennaio. Sicché, pure player non bancari debitamente autorizzati, d'accordo con gli utenti potranno accedere ai loro dati di pagamento tenuti dalle banche. è pensabile che l'Italia possa diventare un hub Fintech europeo? La possibilità c'è, la convenienza anche (il settore apporta 6,6 miliardi di sterline all'economia UK, attira oltre 500 milioni di sterline di investimenti, impiega 61 mila addetti). Ma senza volontà politica non si cammina.
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