Brasiliana uccisa a Roma, gallerie fuori controllo anche dopo il delitto: «Questa è casa nostra, nessuno ce la tocca»

Brasiliana uccisa a Roma, gallerie fuori controllo anche dopo il delitto: «Questa è casa nostra, nessuno ce la tocca»
di Maria Lombardi
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Giovedì 16 Novembre 2017, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 07:54

«Andate via! Via! Lasciatemi mangiare in pace la mia insalata di tonno». Sui gradini che puzzano di sudicio e pipì, la scodella a terra protetta dall'oscurità. In fondo alle scale, dove la luce si ferma ed è subito buio. Dalla città di sopra arriva solo il frastuono monotono delle auto e niente più. Laggiù, nella città di sotto, il silenzio è negato insieme al giorno e all'aria. La voce di donna viene da laggiù, frasi spezzate di chi non ha più bisogno di parlare, insieme al rumore delle posate.

Oltre il nastro di plastica della polizia, quel sottopasso è sequestrato, lì hanno trovato la brasiliana morta e non potrebbe entrare nessuno. Robertina, colombiana, e il suo amico stanno nella galleria del delitto, «lui ci vive, io sono venuta a trovarlo», i divieti e la legge non arrivano dove è sempre notte. Mangiano tra cartoni e coperte, scatolette aperte e bidoni di plastica per l'acqua, sempre la faccia in giù. «Andate via! Vaffanculo, sono tossico. Andate via!». Lui urla, si abbassa i pantaloni e resta nudo e gobbo, la vita sottoterra gli ha piegato la schiena.

Robertina alla fine sale qualche gradino verso la strada, lungo viale dell'Università, con una fetta di pane e tonno tra le mani, «ma non voglio le foto. Mi devo truccare», ha i capelli corti, l'ombretto marrone, una giacca grigio argento. Qui è stata trovata una donna uccisa, c'è il nastro della polizia. «Non l'hanno trovata qui, ma all'altro sottopasso. Lo so perché alle tre quando sono tornata l'avevano portata via. Siamo stati tutto il giorno in questura, abbiamo detto quello che sapevamo. Che altro volete sapere? La conoscevo, ma stavo lontano da lei. Parlava troppo e faceva una vita pericolosa, andava con tutti». Lui minaccia: andate via! E lei torna a oltrepassare il confine tra luce e buio.
Piazza di Porta Pia, di fronte al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. A poche centinaia di metri dal sottopasso sequestrato, c'è un altro tunnel dormitorio. Un paio di sneakers sui gradini, e dietro le inferriate di un cancello aperto a metà, un letto matrimoniale con il materasso sui cartoni e sopra le coperte, di fronte uno più piccolo. La poltrona, l'armadio, le stoviglie, le cassette dove sistemare la roba, gli ombrelli. Si arredano i sottopassi, così sembrano meno inferno. Qualcuno si muove laggiù, si fatica a distinguerlo, vuole starsene nascosto nel buio che cancella e protegge, a sorvegliare la sua roba. Si fanno i turni, nei sottopassi, la guardia ai materassi luridi. Nella Roma dell'oscurità ci si salva solo con coperte e alcol , vanno difesi.

I TUNNEL
Nessuno li ha mandati via, nemmeno all'indomani della scoperta di un cadavere. I dimenticati lo sono per sempre. A via del Galoppatio, tra villa Borghese e via Veneto, c'è un tunnel che vuole sembrare una casa. Le padelle appese al muro, la scopa in un angolo, una tovaglia di plastica rossa su alcune cassette a far da tavolo, valigie e vestiti. Paolo, romeno, chiede l'elemosina all'incrocio e ci tiene a dire quanto è pulito il suo tunnel.

«Vivo qui da 2 anni, insieme ad altri due romeni, uno di loro ci abita da 10 anni. Teniamo tutto a posto. Oggi ho preparato i fagioli, l'altro giorno la polenta. Faccio così, metto gli stracci in una scatoletta di latta vuota e li bagno con l'alcol. Il rumore? Non lo sento più». Eppure bisogna urlare per farsi ascoltare, laggiù. «Qui stiamo noi romeni, dall'altra parte della strada ci sono gli ungheresi. Non abbiamo paura e nemmeno freddo. Questa è casa nostra e nessuno ce la tocca». Sotto l'asfalto, le auto che passano sulla testa.

 

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