La Ue dopo Brexit, pronto un piano B. Cosa accadrà senza un accordo

La Ue dopo Brexit, pronto un piano B. Cosa accadrà senza un accordo
di Antonio Pollio Salimbeni
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Giovedì 16 Novembre 2017, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 11:35
BRUXELLES Prepararsi ad allacciare le cinture. E' l'aria che tira sul negoziato per la Brexit. Ad allacciarsi le cinture devono essere pronti a Londra, anzitutto. Ma anche nelle altre capitali, sebbene in questo periodo si fa sempre più strada la convinzione che a perdere da un mancato accordo saranno più i britannici che i 27.

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«Il tempo sta scadendo», ripete il capo negoziatore Ue, Michel Barnier, che durante l'evento organizzato dal Messaggero giovedì 9 («Obbligati a crescere, Europa dopo Brexit») ha lanciato il primo ultimatum ufficiale. In breve, Barnier ha dato due settimane di tempo a Londra per fare proposte chiare, dettagliate, quasi definitive, sui tre punti chiave della trattativa: diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito, frontiera tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord, obblighi finanziari. Quindici giorni per permettere ai 27 di valutare le proposte e, se le giudicheranno convincenti e possono costituire progressi sufficienti, passare alla trattativa sui rapporti futuri tra l'Europa e il Regno Unito, non solo sul commercio ma anche su difesa, sicurezza, programmi di ricerca. Dei 15 giorni ne sono stati già consumati un terzo: a metà dicembre si riunisce il Consiglio europeo e, a quel che si sa, si rischia una seconda fumata nera.

A Bruxelles come nelle altre capitali che contano (per esempio Varsavia, visto che Oltre Manica vivono 900 mila polacchi) si valuta con crescente preoccupazione lo stato di paralisi acuta del governo inglese «incollato tra un'Europa implacabile e un irrealistico partito conservatore», come ha indicato il columnist del Financial Times Gideon Rachman. Che osserva come «Bruxelles non offrirà nulla di simile all'accordo che i brexiters sognano».
Sul podio del Messaggero, Barnier ha sintetizzato così le quattro linee rosse per l'Europa: non è possibile per il Regno Unito stare metà dentro e metà fuori dal mercato unico; non è possibile uno stop alla libera circolazione delle persone mantenendo la libera circolazione di beni, servizi e capitali; non è possibile lasciare il mercato unico e continuare a fissarne le regole; non è possibile lasciare l'unione doganale e aspettarsi un commercio senza ostacoli con la Ue. Ebbene, si è in attesa di segnali provenienti da Londra.

Dall'incontro di lunedì fra Theresa May e una delegazione di rappresentanti delle associazioni imprenditoriali europee, si è d'altro canto capito che per il momento la richiesta europea non avrà alcun seguito. Anzi, è emersa netta la percezione dello scarso realismo britannico.

Non a caso tre giorni dopo la conclusione del sesto deludente round negoziale, Barnier ha rimarcato che la Commissione Ue sta comunque preparandosi a gestire il fallimento del negoziato. E' uno scenario non auspicato, ma a questo punto il Piano B va definito data la stagnazione della trattativa. Il «non accordo», ha spiegato Barnier al Journal de Dimanche, «è una possibilità, ognuno ha bisogno di prepararsi a questo, gli Stati membri come il mondo del business. Anche noi stiamo facendo i preparativi tecnici, il 29 marzo il Regno Unito diventerà un paese terzo». Tutto normale, tutto ovvio. Sicché la preparazione del peggio da parte di governi e delle banche centrali ora si affianca alla preparazione del peggio nei settori-chiave dell'economia (soprattutto nei servizi, a partire dai trasporti aerei). La caduta della sterlina a conclusione del sesto round negoziale ha fatto capire quanto sia bassa la fiducia nella tenuta della situazione da parte del governo britannico. Non passa giorno che non ci siano nuovi annunci sulla pianificazione dei trasferimenti dalle sedi britanniche verso sedi Ue per garantirsi la possibilità di operare nel mercato unico con passaporto Ue.

Su due dei tre punti chiave della trattativa, diritti dei cittadini Ue e frontiera anglo-irlandese è stato fatto uqalche passo avanti, ma per la Ue sono passi modesti. Quanto infine agli obblighi finanziari legati a Brexit, May ha offerto 20 miliardi per pagare i due anni di transizione dal momento della Brexit (fine marzo 2019) durante i quali le relazioni con la Ue, sotto tutti gli aspetti, resteranno quelle attuali. La Ue, invece, calcola non meno di 60 miliardi. Che si possa trovare una soluzione a metà strada è ciò che pensano a Londra, ma non a Bruxelles. «Le cose sono molto semplici, ci sono dei conti da pagare per gli impegni assunti a 28 che non possono ricadere sui 27», ha dichiarato Barnier giovedì 9. Insomma, l'Europa chiede a May semplicemente di dare seguito a quanto promesso a Firenze e cioè che Londra onori gli impegni assunti. Cosa che, allo stato, appare poco probabile.