Un'Europa degli Stati oppure delle Regioni?

Un'Europa degli Stati oppure delle Regioni?
di Luca Cifoni
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Giovedì 16 Novembre 2017, 08:21 - Ultimo aggiornamento: 09:01
Per ora, l'orizzonte è ancora quello del difficile confronto a due che dovrà portare all'addio definitivo della Gran Bretagna all'Unione europea. In maniera ordinata, si augurano in molti, ma se sarà necessario anche con uno strappo netto, fa sapere Londra. Dietro i dettagli tecnici e le asprezze del negoziato c'è però un'altra domanda: «Cosa ne facciamo dell'Europa futura?». Se la pone esplicitamente Romano Prodi nel suo intervento al convegno Obbligati a crescere del Messaggero, raccogliendo anche gli spunti offerti dal capo negoziatore della Ue per la Brexit, Michel Barnier.

EFFETTO A CATENA
Il primo aspetto da verificare riguarda il possibile effetto a catena di una decisione le cui conseguenze, con tutta probabilità, non erano chiare anche a molti di coloro che l'hanno voluta. Sul punto l'ex presidente della Commissione Ue è moderatamente ottimista. Un effetto contagio appare tutto sommato improbabile, da una parte per la peculiarità della posizione britannica nel contesto europeo (e in quello occidentale), dall'altra per l'effetto stesso di quel che è successo dal giugno 2016 in poi. «Altri Paesi che potrebbero essere tentati sono estranei a quelle prospettive di lungo periodo che hanno alimentato il voto per il leave nel popolo britannico, quindi non credo che l'Europa avrà altri problemi di exit», osserva Prodi.

Il riferimento è ai Paesi dell'Est europeo, dalla Polonia all'Ungheria fino ai Paesi Baltici, in cui seppur con modalità e intensità diverse spirano i venti del populismo e di un certo anti-europeismo. Che però, fa osservare ancora il professore bolognese, non equivale a una richiesta di uscita dalla Ue: «Quando si chiede a questi popoli se l'Europa ha agito bene negli ultimi 10 anni, la risposta prevalente è no, ma se poi si chiede volete uscire? allora la maggioranza assoluta è contraria».

Ma che cosa succede con le spinte indipendentiste come quelle della Catalogna? Proprio la Brexit e quanto sta accadendo in questi mesi stanno probabilmente inducendo ad una riflessione. «In passato - argomenta Prodi - il richiamo all'indipendenza è stato paradossalmente favorito dall'Unione europea». Nel senso che la presenza di una struttura al di sopra degli attuali Stati nazionali può aver invogliato alcune regioni, in particolare le più ricche delle altre, ad accarezzare l'idea di separarsi contando sul fatto di poter comunque restare all'interno della Ue. È successo con la Scozia, ma anche con la Catalogna. E qui l'analisi si connette con quella portata avanti da Marc Lazar: il politologo francese evidenzia i rischi insiti nel «populismo dei ricchi», in una insoddisfazione (anche dei giovani) che tende a trovare uno sfogo nella dimensione dell'autonomismo.

Ma proprio gli scozzesi hanno avuto una dimostrazione diretta delle complicazioni che si pongono dopo il voto di un anno e mezzo fa in Gran Bretagna. E l'Europa è apparsa, secondo Prodi, «politicamente molto più forte di quanto ci aspettassimo». Così la domanda iniziale sull'identità futura può essere articolata in modo più preciso: «Il Vecchio Continente ora deve domandarsi se vuole essere un'Unione di 27 Stati oppure di 95 o più Regioni». In queste settimane di tensione pesa quella che l'Economist ha definito la dottrina Prodi in omaggio a un principio fissato nel decennio scorso dall'allora presidente della Commissione Ue: se un territorio dichiara la propria indipendenza esce automaticamente dall'Unione; per rientrare dovrà poi iniziare daccapo la procedura e ottenere il via libera con il voto unanime di tutti gli altri Paesi membri.

DIMENSIONE ATLANTICA
L'Europa deve comunque ridefinirsi non solo in relazione a sé stessa, ma anche in una dimensione atlantica. Questo perché c'è una naturale e storica forza che attrae la Gran Bretagna, ormai slegata da Bruxelles, verso gli Stati Uniti. L'amministrazione Trump ha già lanciato dei segnali molto chiari. Questa situazione però può trasformarsi in un'opportunità storica per fare passi avanti nel campo della difesa comune: ovvero proprio quello in cui in passato si erano arenate le ambizioni europee. Secondo Prodi la spinta in questa direzione sarà fortissima: «La Francia, che negli anni della crisi economica aveva perso terreno nei confronti della Germania, si ritrova ad essere l'unico Paese della Ue con potere di verto all'Onu e soprattutto l'arma atomica». Questo processo può essere gradito anche alla Germania, perché «l'imprevedibilità della presidenza americana rende l'Europa più insicura». Ecco allora che a Berlino «il dibattito già in corso sulla riorganizzazione delle Forze Armate può essere impostato in un modo diverso, che non susciti vecchie paure».