Alessio Boni: «Quando avevo 24 anni un produttore americano mi molestò»

Alessio Boni (Toiati)
di Filippo Bernardi
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Mercoledì 1 Novembre 2017, 04:25 - Ultimo aggiornamento: 8 Novembre, 18:17

Nel suo ultimo film, La ragazza nella nebbia, opera prima dello scrittore Donato Carrisi (un milione di euro di incassi dopo il primo weekend in sala), interpreta un professore di lettere molto attaccato alla famiglia e al suo lavoro, ma con inquietanti lati oscuri. Alessio Boni, l’indimenticabile poliziotto suicida de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, a 51 anni una famiglia non l’ha ancora messa su (anche se forse ci siamo quasi) e di lati oscuri sembra proprio non averne. Giura che il successo non gli interessa e appena può si rifugia in un isolato casolare in Toscana. Lo scandalo Weinstein e ora quello che ha travolto Kevin Spacey? Non lo ha sorpreso più di tanto: «Anche io ricevetti le avances indesiderate di un direttore gay americano - rivela -. Avevo 24 anni».

E cosa fece?
«Lo respinsi con fermezza e finì lì»

Cosa pensa di chi denuncia dopo tanti anni?
«Penso che sia molto positivo che si esca dal silenzio, si denunci e se ne parli. Assolutamente. Ma non solo nel cinema perché il problema esiste in tutti gli ambienti. La violenza sulle donne mi fa orrore. Poi è vero anche che di fronte a delle avances indesiderate si può dire di no ma è un argomento molto delicato e complesso perché entrano in gioco altri fattori come il potere della persona che compie le avances, il senso di colpa della vittima, la paura che denunciare non porti a nulla».

Il cinema è un mondo maschilista?
«In Italia lo è. Quante registe ci sono? Quante produttrici?»
 


Ne “La Ragazza nella nebbia” il suo personaggio è uno dei maggiori sospettati per la sparizione di una ragazzina di 16 anni. Un ruolo controverso.
«Quando Donato mi ha dato la sceneggiatura mi ha colpito subito. C’è dentro tutta la banalità del male che intriga e crea angoscia. Il male non sfacciato, quello che non ti aspetti e che magari alberga nel vicino di casa architetto con cui sei andato a bere uno Spritz»

Il film contiene anche una critica al circo mediatico che si crea intorno a determinati delitti. Lei nella vita segue la cronaca nera?
«Sì, la seguo, mi intriga. Però mi fermo al fatto, non mi interessa molto tutto quello che si innesca dopo, il cosiddetto circo mediatico, appunto»


Lei, nella vita, prima di fare l'attore ha fatto di tutto e ha iniziato a lavorare molto presto, a 14 anni. Come mai?
«A quei tempi era normale. Sono nato a Sarnico, in provincia di Bergamo, da una famiglia di piastrellisti. Lo facevano mio fratello, di due anni più grande, mio cugino che lo fa tuttora, mio zio, mio padre. Era un periodo abbastanza duro perché mio padre aveva fatto un mutuo per costruire casa e quindi aveva bisogno di manodopera, di aiuto»

Non studiava?
«Facevo le serali di ragioneria e mi sentivo un po’ ignorante»

Quando ha capito che il piastrellista non era il suo lavoro?
«Subito perché era pesantissimo. Però non avevo idea di cosa fare, non pensavo ancora di fare l’attore anche perché pensare di fare l’artista nel mio paese era un’utopia pura. Ti prendevano per il culo per tutta la vita, non potevi neanche dirlo»

E poi?
«Poi arrivò la possibilità di entrare in polizia e io pur di scappare ci provai. Mi presero e mi dissi “ah, diventerò un Serpico”. Poi la realtà fu diversa è così dopo un anno e mezzo sono scappato in America».

Cosa l’ha fatta scappare?
«Non era il mio mondo. Stimo molto chi fa quel lavoro ma la gerarchia, il nonnismo... sono cose che non mi appartengono»

Però le è tornato utile per interpretare il poliziotto ne La meglio gioventù...
«Sì quando mi presero fu molto bello, feci il provino con Jasmine Trinca. Tre giorni dopo mi chiama Tullio Giordana e mi fa “per me tu sei Matteo Carati, però siccome devi fare il celerino devi imparare a maneggiare il manganello, lo scudo...”. “Guarda che io ho fatto un anno e mezzo in polizia, reparto celere”»

E lui?
«“Sei un genio!”. Finì che spiegai io a tutti come muoversi»

Ma c'è un ruolo che manca nella sua carriera e che vorrebbe fare prima o poi?
«Se mi proponessero di fare la drag queen accetterei subito»

Perché proprio la drag queen?
«Mi piacciono i personaggi lontani da me, le sfide. E poi mi piacerebbe conoscere meglio la realtà di chi non si sente nel corpo in cui è nato e vuole cambiarlo. Lo trovo un tema molto interessabte e dall'enorme potenziale drammatico»

È vero che in California ha fatto anche il babysitter?
«Ebbene sì. Lo feci per una famiglia di americani, amici della fidanzata con cui stavo al tempo, che aveva bisogno il venerdì e il sabato perché spesso andavano fuori per lavoro. Fu un’esperienza terrificante»

E come nasce l’idea di fare l’attore?
«Succede che torno dall’America perché non avevo la carta verde e non avevo intenzione di sposarmi per averla e faccio per un paio di stagioni l’animatore in un villaggio turistico. Già quelle prime esperienze su un palco, per quanto minuscole, risvegliarono qualcosa dentro di me. Poi approdo a Roma e succede una cosa...»

Che cosa?
«Vedo la Gatta cenerentola di De Simone al teatro Sistina, era il 1988. Mi si scoperchiò il cervello: mi fu chiaro che volevo fare l’attore. Poi mi hanno preso all’Accademia d’arte drammatica ed è partito tutto». 

Suo padre la appoggiava?
«Per mio padre, pragmatico e stacanovista come ogni buon bergamasco, ero il lazzarone che se ne era andato e stava a Roma a non far niente. Anche quando gli dissi “papà mi ha preso Giorgio Strehler”, che per me fu un’enorme iniezione di fiducia, mi rispose: “cos’è?” Per lui il teatro era zero. Ha cominciato a prendermi sul serio quando ho fatto Incantesimo e la gente lo fermava in paese»

Il suo bell’aspetto l’ha certamente aiutata, ma è mai stato un limite?
«Non ho mai fatto della bellezza l’unica risorsa di vita altrimenti avrei fatto un’altra strada. Mi é servita agli inizi, durante l’Accademia. Al tempo lavoravo tre sere a settimana come cameriere qua a Roma al Puff di Lando Fiorini che è stato un secondo padre per me. Prendevo 50mila lire a sera. Un giorno di lavoro per Grand Hotel invece mi fruttava 500mila lire. Erano tantissimi soldi per me che condividevo una casa con altri ragazzi a Talenti»

Poi però a un certo punto con i fotoromanzi ha chiuso
«Certo, bisogna fare delle scelte. Prendi Stefano Accorsi: é partito con una pubblicità e poi ha fatto il cinema. Poi vabbeh, lui era bravo persino nella pubblicità»

Il successo è importante?
«Per me no, sono sincero. Io ero felicissimo di fare teatro. Ho sempre cercato di diventare una persona di valore nel campo che ho scelto, non per forza di successo. Se tu sei di valore ottieni la stima delle persone che poi é la cosa che ti porti appresso nel quotidiano e la senti. Il successo non é affatto detto che si porti dietro la stima, anzi: spesso capita il contrario».

Lei vive in un casolare tra Arezzo e Siena. Non ama la mondanità?
«No, per niente. Certe cose mi pesano molto: le cene, le serate. Per questo mi sono segregato in Toscana. Sono dieci giorni che vado in giro per il film e non vedo l’ora di tornarci. Tra il mio eremo e la croisette a Cannnes scelgo tutta la vita il primo»

Ma abita da solo?
«Sì, la casa più vicina è a 500 metri. Non ho ancora animali perché non vivo lì con continuità però quando avrò una famiglia ne prenderò di sicuro»

A proposito, la sua relazione con Nina Verdelli è pubblica. In passato ha detto che sogna una famiglia numerosa, ci sta lavorando?
(Ride) «Ci sto lavorando».

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