Quei tronchi ormai lasciati all'incuria ci spaventano

di Paolo Graldi
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Mercoledì 25 Ottobre 2017, 07:50 - Ultimo aggiornamento: 08:17
Venivano da tutto il mondo per ammirarli, raccontarli, studiarli, dipingerli: poeti, viaggiatori, naturalisti, ricercatori, semplici turisti affascinati da quei monumenti della natura. Vengono ancora da tutti il mondo perché comunque rappresentano un patrimonio inestimabile ma aumentano, giorno dopo giorno, le buone ragioni per averne paura. Sì, gli alberi, specie quelli ad alto fusto, nella Capitale, mettono paura perché, banalmente, si schiantano a terra sradicandosi da terreni esausti, lasciati all'incuria. Adesso cadono non le foglie d'autunno dagli alberi, ma proprio gli alberi. Su passanti, automobilisti, caseggiati.

Ogni giorno nel bollettino di questa guerra si segnala una vittima o uno scampato pericolo di qualcuno. Mentre nelle pinete si mandano in cenere questi giganti solo d'estate e ne perdiamo a centinaia e centinaia ogni anno, fulminati da mani criminali e spesso ignote, con l'arrivo delle piogge e dei venti forti ecco che gli alti fusti, ondeggiando, carichi di pesanti rami che diventano vele dispiegate, tradiscono le radici a fior d'asfalto e s'abbattono dove capita. Nei parchi si accasciano dove possono. Dicono in coro, in Campidoglio: lo sappiamo, la situazione è grave, ma non ci sono i soldi per la manutenzione, pochi anche quelli per le potature. E così, con buona pace di Ungaretti a Roma d'autunno non cadono solo le foglie dagli alberi, non rimosse, ma direttamente gli alberi, metafora di un disastro quotidiano inflitto a tutti noi.
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