Il caso Vienna/ Come battere i populisti sul loro terreno

di Marco Gervasoni
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Lunedì 16 Ottobre 2017, 00:11
La piccola Austria fin dall’Ottocento, quando costituiva il cervello di un grande impero, è sempre stata un laboratorio, da cui osservare i fenomeni politici. Che cosa ci dicono allora le elezioni di ieri, che vedono il successo dei conservatori del trentunenne Sebastian Kurz? Ci mostrano come alcune credenze diffuse non siano poi così tanto fondate.

Prima credenza: i successi dei «populisti» sarebbero frutto della crisi e della povertà crescente. Il risultato dell’FPÖ, terzi a un’incollatura dai socialisti, sia pure inferiore alle previsioni, smentisce questa tesi, visto che l’economia austriaca si trova in una forma insolentemente strepitosa, con un tasso di disoccupazione previsto al 5,4%, una crescita del 2,8% e un prodotto interno lordo per abitante superiore a quello della stessa Germania: del cui sviluppo l’Austria ha approfittato. Allora, che cosa ha spinto l’FPÖ di Strache, rendendogli probabile, anche con il terzo posto, l’ingresso nel governo, guidato dai popolari di Kurz? Una parola sola: immigrazione. 
Con i 100.000 migranti entranti negli ultimi due anni e una popolazione di 8 milioni e mezzo di abitanti, i risultati non potevano essere diversi.

Quest’ultima immigrazione si aggiunge a quella stabilitasi nel tempo, che ha creato, soprattutto nelle grandi città delle minuscole (ma neanche tanto) comunità etniche sul modello della famigerata Molenbeek belga: ed è immigrazione soprattutto di religione musulmana. Non a caso il leader della FPÖ Strache ha concluso la campagna affermando che «l’Islam non fa parte della tradizione austriaca». Ancora una volta, come si è visto anche qualche giorno fa in Germania, il successo dei partiti nazionalisti discende da una richiesta di identità culturale e di senso di appartenenza alla nazione, e da un cattivo rapporto con l’Europa - in cui l’Austria è entrata solo nel 1995. Non a caso anche la FPÖ, come il Front national e l’Afd, sono al tempo stesso anti Ue e anti immigrati. Semmai dobbiamo notare come, pur disponendo di un programma e di parole d’ordine simili all’Afd e decisamente più xenofobe di quelle di Marine Le Pen, il probabile accesso al potere di Strache non abbia provocato fino ad ora proteste e mobilitazioni. Anche se non è impossibile neppure il ritorno della grande coalizione, con i socialisti arrivati secondi, persino loro non escludono un’alleanza con i nazionalisti. Evidentemente ciò che è considerato «neo-fascista» a Parigi e «neo-nazista» a Berlino, non lo è a Vienna. 

Il secondo luogo comune sfatato dal voto austriaco è il seguente: «non si sconfiggono i populisti inseguendo le loro parole d’ordine». Dall’esempio olandese di qualche mese fa e ieri da quello austriaco, sembra vero il contrario. Kurz sarà probabilmente il nuovo cancelliere certamente perché ha rivoltato il vecchio partito democristiano, cavalcando l’onda macroniana della rivoluzione manageriale in politica: poca ideologia, uso dei social e della rete, molte «emozioni», gruppo dirigente reclutato dal management privato. Ma ha vinto soprattutto perché ha sposato, sull’immigrazione, le stesse proposte dei «populisti» dell’FPÖ, addolcendone solo un po’ il linguaggio. E gli elettori hanno preferito, in parte, una copia più affidabile (e giovane) a un originale su cui nutrivano, come si è visto, dubbi. 

La domanda vera però è la seguente; ci deve far paura il probabile nuovo governo di centro-destra-destra? Non perché il fascismo sia di ritorno a Vienna: perché non sarebbe vero. Ma certo ci deve preoccupare, in quanto italiani, perché Kurz, soprattutto se alleato con Strache, manterrà fede al suo programma di difesa dell’identità austriaca e dei suoi confini che, sfortunatamente, coincidono con i nostri. Non aspettiamoci quindi da lui troppa collaborazione, e prevediamo nuove e più credibili chiusure del Brennero. Una ragione in più perché il nostro governo, e quello nuovo dopo le elezioni, adottino una posizione giusta, ma realistica e rigorosa sull’immigrazione.
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