L'obelisco zeppo di errori di stampa

L'obelisco zeppo di errori di stampa
di Fabio Isman
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Domenica 20 Agosto 2017, 11:49 - Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 22:02

Per fortuna che tra i milioni di turisti che visitano (e invadono) Roma, non possono più esserci gli antichi Egizi. Perché, altrimenti, a Trinità dei Monti si lascerebbero di sicuro scappare un moto di raccapriccio: lo stesso che oggi proverebbero Chistian Greco, bravissimo direttore del museo Egizio di Torino, oppure Alessandro Roccati, grande esperto della materia; e purtroppo tempo fa, anche l'indimenticabile direttore d'orchestra Giuseppe Sinopoli, che sapeva leggere i geroglifici. Perché quelli sull'obelisco Sallustiano, in cima alla scalinata creata da Francesco De Sanctis, in tre anni dal 1723, sono infarciti di errori. La vicenda del monumento è singolare, come pure quella dell'emulo che è al Laterano. Roma è la città che ne vanta di più: 18, veri o fasulli. Il primo a essere ricollocato, nel 1586, fu quello a piazza San Pietro. Il Sallustiano giunge nell'Urbe forse portato da Aureliano (214 - 275); è posto nei Giardini di Sallustio, dal che il nome: probabilmente, dove ora è la chiesa luterana di via Sicilia.

SPEZZATO
Potrebbe essere stato la spina dell'ippodromo che vi sorgeva. Comunque, nel 410 Alarico invade la città dalla Porta Salaria: gli Horti, con una bella villa che fu anche residenza di Vespasiano e Nerva, sono pressoché distrutti; l'edificio, non più ricostruito. Della zona si vede ancora qualcosa, 14 metri sotto la strada, in Piazza Sallustio. La stele è abbandonata, spezzata in tre parti. Per un sacco di tempo. Sisto V Peretti la vuole a Santa Maria degli Angeli; ma muore prima d'innalzarla vicino alla sua favolosa villa. Nel 1754, Clemente XII Corsini intendeva piazzarla davanti al Laterano. Però, appena nel 1789 l'obelisco trova la sua nuova dimora: Pio VI Braschi lo rileva dai Ludovisi, e lo affida a Giovanni Antinori: è il prospetto della Scalinata; lo sfondo di via Condotti; un collegamento diretto con un suo simile, che è davanti a Santa Maria Maggiore.
E' il solo che alla Croce affianchi un altro simbolo, non pontificio: visto il luogo, il giglio di Francia. Ma il basamento, scoperto nel 1932, è finito nel giardino all'Ara Coeli: ne viene creato un altro, assai elevato, dato che il segnacolo è alto neppure 14 metri; e così, diventa di 30. I geroglifici (pare che in origine l'obelisco non ne avesse; o, forse, si erano corrotti e cancellati) vengono copiati da quelli della stele di Piazza del Popolo. Il lapicida cui il lavoro è demandato, però si sbaglia, e confonde: tanti svarioni; perfino simboli capovolti: a gambe all'aria. Un caso, ovviamente, unico.

DONO IMPERIALE
Tutt'altra è la genesi dell'obelisco Lateranense, già al Circo Massimo. Nel 354, l'imperatore Costanzo II, figlio di Costantino che viveva ormai a Bisanzio, viene a Roma: non la conosceva. Ovviamente, resta stupefatto: lo racconta Ammiano Marcellino, in uno tra i 31 libri delle sue «Rerum gestarum», una sorta di diario, di cui sono persi i primi 13 volumi, fino al 352. Per ringraziare, intendeva donare qualcosa alla città. E nel 357, una nave costruita apposta, con 300 rematori, risale il Tevere e sbarca l'obelisco di Tutmosi III, totalmente istoriato, alto 32 metri (46 con la base): il più antico ed elevato della città; ma anche l'ultimo portato a Roma. Era a Karnak, davanti al tempio di Amon. E' piazzato al Circo Massimo. E poi, esso pure abbandonato: anche lui ritrovato spezzato in tre tronconi, nel 1587: ai tempi di Sisto V. In Egitto, era già giunto ad Alessandria: Costantino lo voleva a Costantinopoli.

NUOVA SEDE
Nel 1588, papa Peretti lo colloca al Laterano: se ne occupa Domenico Fontana; quello che, con un prodigio di macchine, innalza l'esemplare in San Pietro. E al posto della torcia in bronzo dorato sulla sommità, a sostituire il classico globo colpito da un fulmine, vi pone una croce: la vediamo ancora. Un'iscrizione ricorda la vicenda: è sulle quattro facce del basamento. Per secoli, qui era la statua equestre di Marc'Aurelio, ora in Campidoglio, che si credeva essere Costantino e perciò si salva dalle mire dell'iconoclastia. Perché a Roma, tutto si tiene; e l'antico puntualmente si ricollega sempre.

 
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