Terremoto, la testimonianza diretta
e le mille emozioni di Luca Cari
nel libro «Maledetto Appennino»

Luca Cari
di Fabrizio Colarieti
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Sabato 12 Agosto 2017, 20:40 - Ultimo aggiornamento: 20:42
RIETI - I volti, le storie. Da Amatrice a Rigopiano, un diario ripercorre i cinque mesi che hanno segnato, per sempre, l’Italia centrale. Dal terremoto che ha distrutto i paesi tra il Lazio e le Marche, lasciando dietro di sé un bilancio pesantissimo di quasi trecento vittime, alle scosse che hanno colpito l’Umbria, alla slavina che ha spazzato via l’hotel di Farindola inghiottendo la vita di ventinove persone. «Maledetto Appennino», edito da Castelvecchi, appena uscito nelle librerie e scritto dal giornalista Luca Cari, non è la descrizione dei fatti accadutii e neppure la storia personale di chi ne è stato coinvolto.

TESTIMONIANZA DIRETTA
E’ la vicenda dei vigili del fuoco, svelata attraverso le impressioni che hanno pervaso l’autore. Luca Cari, che di mestiere fa il responsabile della Comunicazione in emergenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha vissuto strazi, ma anche gioie sconfinate, ha toccato l’esaltazione, quando i pompieri hanno salvato vite, e il dolore, quando hanno recuperato morti. Ha partecipato alla felicità di chi ha visto restituirsi un affetto e alla disperazione di chi ha perso tutto. Sensazioni prepotenti, vissute sulla propria pelle, emozioni che «raschiano con violenza l’anima» e che ha scelto di raccontare senza filtri, con lo stile di un cronista, lasciandole immutate nella loro drammaticità e durezza, e anche nell’irripetibilità dell’esaltazione di alcuni momenti.

IL RISULTATO STRAORDINARIO
Tra le oltre 150 pagine del suo libro c’è moltissima Amatrice, impressa anche nell’immagine di copertina, e c’è Accumoli. E ci sono, soprattutto, i racconti dei vigili del fuoco, anche reatini, che nelle interminabili ore trascorse a scavare dopo la terribiler scossa delle 3 e 36 hanno messo in salvo ben 242 persone. «Un risultato straordinario - scrive Luca Cari nell’introduzione del suo libro - se si pensa che la tipologia delle abitazioni, sbriciolate dal sisma, concedeva pochi margini di sopravvivenza».
 
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