Rieti, i 76 anni di Giorgio Marchisio
festeggiati in volo sui cieli reatini:
«Mezzo secolo fa noi i pionieri»

Giorgio Marchisio
di Giacomo Cavoli
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Giovedì 10 Agosto 2017, 09:47 - Ultimo aggiornamento: 09:50

RIETI - «Scattami una foto, oggi è il mio compleanno. Ne compio 76». Sulla linea di volo del Ciuffelli, dentro l'abitacolo in carbonio e vetroresina del Duo Discus XLT, però, sono quarantotto anni che il torinese Giorgio Marchisio spegne candeline. A soffiarci sopra, è il vento degli aerei che decollano, trainando in volo gli alianti. E può persino capitare che il compleanno di uno dei dinosauri del volo a vela reatino sia festeggiato, come lo scorso anno, davanti all'intera flotta della Coppa Internazionale del Mediterraneo. Allora, può darsi ci scappi persino l'applauso.
 

RICORDI

Ma da lui non ci si aspetti un palmares sportivo con trofei d'ogni risma. Niente titoli europei né mondiali, per Giorgio Marchisio: «Una volta ero secondo, in un campionato italiano - ricorda lui - Non c'erano i grandi campioni, pensavo di vincere: poi è arrivato Istel e m'ha fregato». Per inciso, Istel è lo stesso Roberto che, in coppia con Patrizia Roilo, anche quest'anno è nuovamente davanti a Marchisio nella classifica della classe Mista. «Sono un buon dilettante», liquida la questione Marchisio, in gara in questi giornate di Coppa insieme all'altro torinese Fabrizio Cavicchio.
 

Per Marchisio, a parlare non sono i risultati sportivi. Ma la sua importanza al Ciuffelli è legata alla memoria storica di un luogo che esiste soltanto nei ricordi di chi l'ha vissuto e che può ancora raccontarlo, dei fantasmi di tanti protagonisti ormai scomparsi che, ancora oggi, ogni giorno, si aggirano nelle parole dei volovelisti mentre caricano le coordinate sui loro computer di bordo o diluiscono sottili veleni nelle chiacchiere dei club sportivi. «Sono arrivato a Rieti nel 1969, avevo 28 anni, giocavo a fare lo squadrista (l'aiutante, ndr) per un altro pilota insieme a quella che poi sarebbe diventata mia moglie - racconta Marchisio - Da quel momento, ho saltato Rieti soltanto tre volte, nel 1970 e nel 1975, gli anni di nascita dei miei figli, e nel 1982. L'anno dei Mondiali di calcio mi ci ero bruciato le ferie, per volare in Spagna». A casa Marchisio chi la segue? «Nessuno dei due figli vola, ma un giorno eravamo proprio qui, sulla pista. Edoardo si alzò e mosse i suoi primi passi. Non hanno mai volato, ma mi hanno sempre accompagnato».
 

Di barzellette e proverbi cinesi, Marchisio ne conosce più dei piloti e non passa decollo che non ne sfoderi una breve raffica pur di ammazzare la noia dei traini. Come era Rieti, all'aeroporto, quarant'anni fa? «Si volava con dei catorci, ma si volava. Io, tra i mobili di casa e l'aliante, mi sono premurato di comprare prima il secondo. Qui era un altro mondo, noi piloti eravamo una famiglia molto più unita. C'era un ristorante fuori, dall'altra parte della strada: ci infilavamo nel buco della rete, e andavamo a mangiare prima dei decolli, insieme alle grandi tavolate dei volovelisti. Il nostro campeggio erano le tende piantate dai militari dove andavano a dormire i piloti senza le mogli e i pochi stranieri che venivano li spedivamo dall'altra parte dall'aeroporto, che noi chiamavamo Sahara».
 

RIMPIANTI E RIMPROVERI

Il bacino volovelistico in Italia, però, continua a restringersi più di un vestito lavato con il programma sbagliato: «Oggi non c'è più il ricambio dei piloti - sentenzia Marchisio - Chi è troppo vecchio, chi muore e chi molla. E il volo a vela è uno sport che costa: in Italia è diventato una disciplina di elite rispetto ad altri paesi dove i ragazzi lavorano, e in cambio ottengono ore di volo gratis. Qua invece bisogna pagarsele, e con i tempi che corrono, prima di dare priorità al volo a vela la gente da priorità alla famiglia».
 

Delle speranze di Rieti, dei sogni di un centro tecnico nazionale di volo a vela che potesse essere fiore all'occhiello in tutto il mondo, cosa ne è stato? «Dopo quel periodo di pionierismo, sono arrivati tutti quanti: Monti, Giusti, Brigliadori.

L'aeroporto di Rieti sarebbe potuto diventare un centro importante: ma come in tutte le cose, ci vuole un leader che abbia autorevolezza. Per un centro sportivo ci sarebbe voluto un leader di autorevolezza sportiva. Perché non c'è stato, nonostante i nomi che erano qui? Questo non lo so. Quello che so' è che Rieti è un posto di bellezza rara, e anche sprecata. Avevamo gare con cento piloti, quest'anno siamo ridotti a quaranta. Speriamo che, guardando le medie orarie di volo realizzate in questi giorni (159 chilometri orari, a Rieti, ieri, per gli inglesi Gatfield e Wells, ndr) la gente torni». Giorgio Marchisio, di sicuro, non mancherà.

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