Il duetto Papa Francesco-Scalfari/ La strana idea di santificare Pascal: una violenza contro storia e laicità

di Massimo Adinolfi
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Domenica 30 Luglio 2017, 00:06
Le vie del Signore sono infinite, ma quella che prenderebbe la beatificazione di Blaise Pascal, qualora Papa Francesco desse seguito al proposito manifestato nel colloquio con Eugenio Scalfari, di sicuro non era mai stata percorsa prima.

Perché non era mai accaduto prima, credo, che la proposta di portare qualcuno sugli altari nascesse dalla conversazione tra un Pontefice e un non credente: con quest’ultimo, beninteso, nella posizione del postulatore.
In effetti, è una ben strana intervista, quella apparsa qualche settimana fa su “Repubblica”. Più che un’intervista, somiglia a un piacevole e libero divagare. Papa Francesco ha a cuore il tema dei migranti, e le diseguaglianze fra la parte ricca e la parte povera del mondo. Scalfari ha invece ben altri crucci: la revoca della scomunica comminata a Baruch Spinoza, e la beatificazione di Blaise Pascal. Nientemeno. D’improvviso veniamo sospinti indietro, in pieno Seicento, l’ultimo secolo solcato da grandiose dispute teologiche intorno ai temi della grazia e del libero arbitrio.

Pascal, a quel tempo, non se la passò benissimo: insieme ai suoi amici giansenisti, interpreti di un cristianesimo austero, poco incline al compromesso morale, ebbe la peggio nello scontro che li opponeva proprio ai gesuiti(dalle cui file viene Francesco), molto più disponibili ad adeguarsi agli usi del mondo. Genio precocissimo, grande scienziato e matematico, brillante prosatore, Pascal è stato però anche uno straordinario testimone della religione cristiana, in grado di rinnovare profondamente gli argomenti tradizionali dell’apologetica tradizionale per «porter à chercher», più che per dimostrare le verità della fede. Di qui la sua profonda modernità, che rende le sue pensées, lette (con qualche anacronismo) in chiave esistenzialistica, molto vicine alla sensibilità contemporanea. Pascal che scommette sull’esistenza di Dio (come un Kierkegaard ante litteram), Pascal che parla al cuore e non solo alla ragione (precorrendo sensibilità romantiche), Pascal che si angoscia dinanzi a un Dio che si nasconde (annunciando prima di Nietzsche l’ospite inquietante dei nostri giorni, il nichilismo).

Ma cosa significherebbe beatificarlo oggi (su proposta di Eugenio Scalfari)? Non è molto più autentica la sua testimonianza, se non guadagna i tratti eroici della santità, che non possedette, e rimane piuttosto nella misura della comune umanità? O c’è forse l’idea di una qualche forma di riconoscimento molto postumo da parte del primo Papa gesuita, verso lo scrittore che nelle «Lettere provinciali» ridicolizzò l’intera Compagnia di Gesù? Ma a che serve questa bizzarra maniera di riscrivere la storia?

È vero che il martirologio cristiano raccoglie le biografie più disparate, e che la storia della Chiesa è piena di testa-coda, di pentimenti, conversioni e palinodie – questo è anzi uno dei tratti più significativi dell’antropologia cristiana – ma, con tutto ciò, lo scomodissimo Pascal che finisce cinto con l’aureola grazie a un chierico della Compagnia, beh: è davvero complicato immaginarselo. Così come trovare un giansenista, così legato al cristianesimo delle origini, tra le schiere rinfoltite e modernizzate dei santi.

Ma, anacronismi a parte, è l’idea stessa che l’apertura della Chiesa ai tempi moderni debba essere mostrata attraverso questi disinvolti mescolamenti del laico e del religioso che probabilmente non giova né a un elemento né all’altro. Così come non ci fa una gran figura, la Chiesa di Francesco, ad avviare i processi di beatificazione davanti a un taccuino, grazie all’imbeccata di un giornalista. È come se il cristianesimo volesse oggi perdere tutte le sue asperità: non solo certi inutili dogmatismi, ma anche la sia pur minima distanza “clericale”. E chi meglio di Blaise Pascal, finito pure nelle scatole dei Baci Perugina? Ma c’è un enorme equivoco. A parte il fatto che, dal punto di vista cattolico, i dogmatismi non sono affatto inutili, sono anzi costitutivi del magistero ecclesiastico, ma come si fa a promuovere un’operazione di questo genere con Pascal, che di facilità, convenienze, accomodamenti morali e dottrinali proprio non ne voleva sapere? Senza dire che sarebbe stato il primo a inorridire nel vedersi messo a fianco dell’ebreo Spinoza.

Qui poi viene il lato francamente molto, ma molto approssimativo della lunga conservazione col Pontefice. Passi che Scalfari immagini, violentando la cronologia, un Pascal lettore di Spinoza. Passi pure che dedichi un capoverso da brivido alla novità del pontificato di Francesco (il Dio unico, questa la «tesi di fondo»: come se il monoteismo fosse una scoperta dell’ultim’ora) e pure al dogma trinitario (Dio che diventa uomo e che dopo la morte «ridiventa» Dio: secoli di discussione su Gesù vero uomo e vero Dio dissolti così, in un giro di frase, dinanzi al Papa), ma che dire infine della richiesta alla Chiesa cattolica di cancellare la scomunica di Spinoza, quando a scomunicarlo fu la comunità ebraica di Amsterdam? 

Quanto infine alla messa all’indice dell’«Ethica»: è difficile trovare nel Seicento (ma anche oggi) un libro più lontano non solo dalla fede ma dalla stessa visione cristiana del mondo: che senso avrebbe, anche in questo caso, mescolare le cose, confondere le acque e fare come se fossero lo stesso il Dio personale dei cristiani e il Dio impersonale di Spinoza, il Dio trascendente e il Dio immanente, il Dio misericordioso e il Dio privo di passioni, il Dio di «stultitia» dei cristiani e il Dio tutto razionale di Spinoza?
Ma se saltano simili differenze, e se a saltarle (a farci almeno un pensierino) è addirittura il Pontefice, non si è affatto più vicini al dialogo e alla reciproca conversione fra pensiero laico e pensiero religioso: si è invece nel peggiore dei sincretismi possibili, dove tutto equivale a tutto. Che è precisamente la condizione in cui, Pascal può finire sugli altari, Spinoza vedersi revocata una scomunica rifilatagli da altri, e Scalfari spiegare al Papa addirittura la Trinità.
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