L’orgoglio necessario/ Ma l’Italia non può fare la crocerossina dell’Europa

di Romano Prodi
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Domenica 30 Luglio 2017, 00:05
Più osservo le evoluzioni del quadro politico ed economico in cui oggi si trova ad operare l’Italia più mi viene spontaneo paragonare il suo ruolo a quello della Croce Rossa Internazionale. Un ruolo nobile ma non proprio il compito di uno Stato sovrano che dovrebbe operare in un clima di solidarietà europea.
Svolgiamo questo nobile compito per i migranti dalla Libia, che vengono raccolti dalle navi appartenenti a tanti Paesi europei ma che, come avviene per i feriti nei conflitti bellici, vengono tutti portati all’ospedale della Croce Rossa, cioè in Italia. E, come è il caso della Croce Rossa, quando si parla delle trattative di pace, l’Italia viene regolarmente esclusa perché le cose importanti si trattano in un piano superiore.
In questo contesto ci sacrifichiamo almeno per uno scopo nobile, anche se accompagnato da una vergognosa mancanza di solidarietà da parte dei nostri partner europei.

Il paragone però non si ferma qui perché, come capita per la Croce Rossa, siamo diventati un bersaglio su cui tutti possono sparare senza provocare alcuna reazione. 
Anche in questo caso il protagonista è la Francia di Macron. Mentre era stata accolta senza alcun problema la proprietà coreana dei cantieri navali di Le Havre si procede addirittura alla loro nazionalizzazione (a cui si aggiunge il ridicolo aggettivo di “provvisoria”) purché non finiscano in mani italiane. Il tutto dopo che la Francia si è comprata mezza Italia. 
E il tutto nello stesso giorno in cui viene dichiarato ufficialmente che un imprenditore francese ha assunto la “direzione e il coordinamento” (cioè la proprietà) di Tim, unico grande gruppo italiano di telecomunicazioni, che ne detiene la rete a copertura nazionale. Cioè nello stesso giorno in cui passa in proprietà francese un’impresa che, con i suoi 18 miliardi di fatturato è, come si legge nel recente rapporto di Mediobanca, una delle pochissime grandi strutture economiche rimasta in mani italiane. Un’impresa strategicamente più importante anche rispetto a un grande cantiere navale.

In casi analoghi la Francia, per difendere le proprie prerogative, ha sempre usato ed abusato della “ golden share” cioè del diritto dello Stato di bloccare gli acquisti stranieri che avrebbero messo a rischio la sovranità economica nazionale. Così come in passato ha bloccato la nostra Enel nel tentativo di acquisto (OPA) del gruppo Suez, forzandone la fusione con Gaz de France.
Le cronache d’oltralpe fanno ben poco sperare riguardo al raggiungimento di un compromesso che possa permettere a Fincantieri di gestire in modo efficiente una delle pochissime imprese europee a possibile leadership italiana. Quest’obiettivo sarà tuttavia raggiungibile se saremo in grado di elaborare una politica industriale con le stesse regole e gli stessi strumenti di quella francese. Non pretendo nemmeno con la stessa forza, dato che le imprese francesi hanno operato acquisti all’estero più di dieci volte superiori agli acquisti delle imprese straniere in Francia. 

Mi permetto tuttavia di ricordare che, pur nella sua debolezza, anche la Croce Rossa ha il diritto di fare appello alla protezione internazionale. 
A soli cento giorni dalla nostra genuina soddisfazione per l’elezione di Macron nel nome di una linea che si proclamava europeista non solo di fronte ai suoi connazionali ma anche a tutti gli europei, mi viene spontaneo ricordare con una certa nostalgia la conferenza stampa del vertice italo-francese di Chambery nel 1997, in cui il presidente Jacques Chirac, quando un giornalista mise in dubbio la possibilità dell’Italia di entrare nell’Euro, gli rispose duramente che non poteva esistere un’Europa senza l’Italia. 

Gli avvenimenti di questi giorni mi sembrano dimostrare che le cose sono cambiate e non vedo nemmeno realistico un nostro appello all’Europa né sul caso libico né su quello dei cantieri navali. 
A questo punto l’ unica onorevole via d’uscita è che l’Italia usi tutti gli strumenti di difesa di cui può disporre, pur essendo consapevole della gravità di quest’affermazione, sopratutto se pronunciata da chi, come me, ritiene che solo l’Unione Europea ci possa garantire un futuro nel mondo globalizzato. 
Voglio però ricordare che, proprio nell’Unione Europea, esistono limiti alle asimmetrie di comportamento anche perché, pur pienamente consapevole delle debolezze italiane, non posso ignorare le grandi fragilità della Francia nei suoi equilibri di bilancio e nei livelli di produttività del suo sistema industriale. 
Mi verrebbe quindi spontaneo concludere queste mie riflessioni citando ancora il ben noto proverbio calabrese che “chi pecora si fa il lupo se lo mangia” ma, date le mie origini, preferisco concludere ricordando che in Emilia si usa dire che “anche un topo ha il suo orgoglio”.
 
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