Libia, già in crisi la pace Tripoli-Tobruk. Haftar rilancia il figlio di Gheddafi

Libia, già in crisi la pace Tripoli-Tobruk. Haftar rilancia il figlio di Gheddafi
di Marco Ventura
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Venerdì 28 Luglio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 10:44

Il calderone libico ribolle ancora di più dopo il vertice libico di martedì a Parigi tra l’uomo forte della Cirenaica Est e di Bengasi, il generale Khalifa Haftar, e il capo del Consiglio presidenziale libico a Tripoli, Fayez al-Serraj. Un incontro propagandato come svolta per la stabilizzazione libica, voluto e organizzato dalla Francia di Macron con la mediazione emiratina, ma che mostra la corda nelle parole dell’esuberante Haftar intervistato da tv e giornali, arabi e francesi. Il generale ha riconquistato tutte le principali istallazioni energetiche della sua regione e garantisce la presenza francese in Libia, in accordo con l’Egitto (col quale l’Italia non ha chiuso il penoso “caso Regeni”) e coi Paesi del Golfo escluso il Qatar.

E che cosa ha detto? Primo: è da escludere qualsiasi possibilità di «dialogo con gli estremisti», laddove il sospetto è che Haftar comprenda nella categoria i suoi nemici delle milizie di Misurata. A France 24, il generale ha detto chiaro e tondo che contro gli estremisti «useremo le armi, con queste persone non si può immaginare alcun tipo di cessate il fuoco, che invece andrà applicato ai moderati, ai giovani che hanno commesso errori». Il paradosso è che le milizie di Misurata hanno combattuto proprio contro la roccaforte dell’Isis a Sirte, premiate dall’installazione dell’ospedale da campo italiano della missione “Ippocrate”. I loro capi, i fratelli musulmani in genere e il Mufti di Tripoli vedono Haftar come il fumo negli occhi. 

In secondo luogo, il generale di Bengasi attacca ad appena due giorni dalla stretta di mano il presunto nuovo interlocutore Serraj, attento al contrario a mantenere buoni rapporti con le milizie di Misurata decisive per gli equilibri di potere nella ex capitale. «Serraj – dice Haftar che non le manda certo a dire – non ha alcuna autorità a Tripoli ed è un fanfarone. Tripoli appartiene a tutti i libici mentre Al-Serraj è un architetto e sarebbe bene se restasse nel suo campo e si astenesse dalle fanfaronate».

IL RITORNO
Come prosecuzione del dialogo avviato a Parigi, niente male. Ma non basta. Haftar apre a un altro attore che potrebbe diventare importante nel mosaico libico: il secondogenito del fu Colonnello, Saif al Islam Gheddafi che, rivela il generale, «si trova in un posto sicuro anche se non l’ho incontrato». In questo caso Haftar parla al quotidiano arabo “Al Hayat” e spiega di non avere alcun problema «con i fratelli musulmani moderati, ma solo con gli estremisti». Saif, addirittura, dopo la liberazione pare dietro riscatto di circa 3 milioni di dollari versato a una delle brigate di Zintan che lo teneva in custodia e è alleata di Haftar, sarebbe il «benvenuto in linea di principio se vuol avere un ruolo politico». Stando a un profilo social molto popolare tra i giornalisti arabi, il figlio di Gheddafi si troverebbe ad Abu Dhabi, la capitale degli Emirati arabi uniti. E allora tutto tornerebbe. A metà giugno Khalifa Haftar aveva incontrato a Bengasi il vice-capo di stato maggiore della difesa degli Emirati arabi uniti, generale Isa Saif Bin Ablan Mazrui. Il 16 un’emittente tv libica aveva trasmesso alcune fasi d’interrogatorio al fratello di Saif al Islam, Saadi Gheddafi, in carcere a Tripoli, da cui emergeva che un ex ufficiale del passato regime libico, Mohammed bin Ismayl, aveva ottenuto asilo negli Emirati. E negli Emirati si era tenuto lo scorso maggio il primo incontro pubblico tra Haftar e Serraj, sotto gli auspici di Egitto, Francia… e Russia. Parigi inoltre lavora per creare un cordone sanitario lungo i confini meridionali della Libia, oltre il Fezzan, dove altre tribù dominano e da secoli trafficano in armi e uomini.

Né al-Serraj né Haftar controllano davvero la Libia, né i loro stessi campi. Il primo deve vedersela con le milizie di Misurata, tribù della Tripolitania e sacche di estremismo islamista specie ai confini con la Tunisia che ieri ha rilanciato l’allarme terrorismo. Il secondo è alleato delle tribù della Cirenaica e dei berberi Amazig, oltre che delle milizie di Zintan, di parte dei Tuareg del Fezzan e delle tribù più vicine al clan Gheddafi. Con le milizie di Misurata è schierato il Qatar, oggi vittima dell’embargo da parte degli altri Paesi del Golfo.

LA LISTA NERA
Il Quartetto arabo composto da Arabia Saudita, Eau, Bahrein ed Egitto ha intanto aggiornato la sua “lista nera” inserendo 9 individui e 9 organizzazioni accusate di legami col terrorismo. Si tratta di alcune organizzazioni “benefiche” yemenite, ma anche sigle libiche. Tra queste due canali Tv e un’agenzia di stampa, e il Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi. La stabilizzazione in Libia è ancora un miraggio.
 

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