Sbarchi e Agenzia Ue/ Per l’Italia il vero fronte è la Libia non Milano

di Marco Gervasoni
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Martedì 25 Luglio 2017, 00:05
«Spallata», «scavalcata», «schiaffi in faccia». Sono solo alcune, e delle più sobrie, espressioni con cui i media italiani hanno riportato la notizia che oggi, a Parigi, il Presidente francese Macron incontrerà quello del Governo di accordo nazionale della Libia, Fayez al-Sarraj e il generale Khalifa Haftar, a capo della Cirenaica. Senza l’Italia, forse neppure informata. L’obiettivo di Macron è di costituire una forma di unità nazionale, ovviamente sotto l’egida francese, anche se pare egli rechi il mandato della Germania, della Spagna, di Putin e Trump. Il condizionale è più che mai d’obbligo perché su tutto è calato un velo di mistero: a cominciare dal silenzio dei media francesi. Segno di disinteresse dei lettori o necessità di tenere un profilo basso, in caso di fallimento del vertice? Lo vedremo.

Per intanto si possono fissare alcuni punti. Il primo è che stupisce che ci si stupisca dell’interesse francese verso la Libia. Già nel 1911, il presidente del Consiglio Giolitti decise la guerra alla Turchia anche perché la Francia si stava avvicinando al Fezzan, la regione sud occidentale di quella che poi sarebbe stata la Libia. E così è stato per un secolo: Parigi non ha mai accettato il rapporto preferenziale della Libia con l’Italia. 

Dalla fine della guerra fredda, poi, la Francia sta perseguendo nell’area nord-africana un disegno di neo-protettorato fondato su rapporti ancora più stretti che in passato tra Marocco, Algeria, Ciad, Mali (fino agli anni Sessanta tutte sue colonie), da estendere a Tunisia e Libia, considerate tuttavia troppo vicine all’Italia. 

Da qui i bombardamenti del 2011 che, se videro la partecipazione anche di Usa e di Regno Unito, furono voluti soprattutto dall’allora presidente Nicolas Sarkozy, invidioso dei successi petroliferi dell’Eni e ansioso di assicurare al gruppo Total una presenza più adeguata in Libia. L’accondiscendenza dell’Italia, un grave errore, fece capire che ormai i francesi avevano campo libero. Ancora più ingenuo che ci si stupisca di Macron, che ha costantemente discusso di Libia in campagna elettorale, desideroso di fare del paese un corridoio dell’influenza francese verso l’Egitto e il Medio oriente. In più, esercitare l’egemonia sulla Libia vuol dire riuscire a controllare le migrazioni: e Macron vuole accreditarsi come colui che risolverà, sul fronte meridionale, la questione migranti, come la Merkel fece su quello balcanico grazie all’accordo con Erdogan. Il governo francese persegue il proprio interesse nazionale: se al posto di Macron ci fossero stati Hollande o Fillon non sarebbe cambiato molto. Le relazioni internazionali - è il secondo punto - anche tra paesi appartenenti all’Unione europea sono più che mai un’arena dove i vuoti lasciati da qualcuno sono riempiti da altri. Homo homini lupus. Siamo noi - qui sta il terzo punto - come paese, al di là dei vari governi, invece, a non cogliere sempre dove stia il nostro interesse nazionale. E ci ingaggiamo in battaglie che valgono poco gli sforzi. Un esempio sta nella tenzone con Francia e Germania per accreditare a Milano l’Agenzia europea del farmaco, Ema, candidatura presentata con enfasi ieri dallo stesso Gentiloni. Come ha ben spiegato su queste colonne Osvaldo De Paolini, oltre a essere una competizione assai difficile, per via dei rapporti di forza e per i requisiti che Milano sembra solo in parte possedere, l’Ema non apporterebbe un granché al Paese.

Invece di sfiancarsi su un dossier minore sarebbe meglio risparmiare forze per aver più voce su altri obiettivi, vedi i migranti e gli approvvigionamenti energetici: in una parola, la Libia. Se quello del francese Macron è certo un gesto non amichevole, l’Italia, pur esclusa oggi, dovrà nell’immediato futuro esercitare tutto il suo peso sul Paese africano, sia che la mediazione francese riesca sia che fallisca. Naturalmente non sarà consentito abbandonare il campo.
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