«Io, con il morbillo, ho fatto scoprire il virus agli Usa»

«Io, con il morbillo, ho fatto scoprire il virus agli Usa»
di Silvia Ventura
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Lunedì 10 Luglio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 19:37
Scoprire di avere il morbillo nel Maine, primo caso dopo vent’anni perché gli americani si vaccinano, è un’esperienza da raccontare. Io di anni ne ho 20 e ho contratto il morbillo a Roma senza saperlo, da mia madre. Lo avevo in incubazione quando sono atterrata a Boston il 9 giugno per qualche giorno di riposo nella cittadina di Farmington e tre settimane a Boston per una ricerca alla Northeastern University. Dopo una settimana dai miei “genitori americani”, veterani dell’Aeronautica che mi avevano ospitato tre anni prima, comincio a non sentirmi bene. Tosse, naso che cola, mal di gola. Il termometro segna 103 gradi Fahrenheit. Febbre alta. Alyce, la mia “host mum”, è convinta che io abbia una semplice febbre, ma siccome i miei genitori italiani sono paranoici come vuole lo stereotipo, mi porta al pronto soccorso di Farmington. All’accettazione elenco i sintomi.

«Mia madre, a Roma, è a letto col morbillo» aggiungo. L’infermiera, sulla quarantina, mi dà subito una mascherina e mi porta in una stanza di isolamento. Una dottoressa mi raggiunge poco dopo. «È morbillo?» chiedo. «Non lo so ancora. Non ho mai visto un caso di morbillo. In America sono tutti vaccinati». Mai visto un caso di morbillo… Andiamo bene, penso. «Però per adesso non hai macchie né bolle sulla pelle, e i sintomi sono quelli della febbre». Dopo tamponi e misurazioni del battito cardiaco vengo rimandata a casa. Alyce è tutta contenta: «Vedi? È solo febbre».

L’ESAME DEL SANGUE
La mattina dopo la dottoressa telefona. «Ho pensato» dice ad Alyce «che siccome Silvia non è sicura di aver fatto il vaccino, sarebbe bene che facesse un esame del sangue per vedere se è immune». Torniamo in ospedale. «Avrai i risultati delle analisi tra 5 giorni» dice il dottore. Il giorno dopo la tosse è fortissima, la febbre di nuovo a 103, il viso coperto di macchie rosse. Così Alyce mi riporta al pronto soccorso. L’infermiera mi riconosce e mi dà subito la mascherina. Anche il dottore che mi visita adesso non ha mai visto un caso di morbillo, ma dice «hai tutti i sintomi, mi sa che te lo sei preso». Le macchie rosse sono pure sul torace e sulle braccia. Il dottore parla al telefono con mio padre, lo rassicura, mi fa fare i test per escludere complicanze come la polmonite. Poi fa entrare altri due medici.

«Scusa Silvia, spero non sia un problema, nessuno di noi ha mai visto il morbillo e questi dottori volevano dare un’occhiata». «Nessun problema» dico. Mi sento l’ultimo esemplare di una specie che sembrava estinta («Apri la bocca per favore» «Vedi queste macchie?»), un reperto archeologico in mani che appartengono al futuro. Com’è possibile che nel Maine nessuno abbia il morbillo? Un’infermiera mi spiega che essendo il morbillo molto infettivo, l’ospedale deve informare il governo del Maine. A casa Alyce dice a Jon, suo marito: «Ha il morbillo». «Il morbillo?!».

Il giorno dopo sto sdraiata sul divano col corpo ricoperto di macchie rosse pensando al dottore che fa rapporto al governo su una italiana col morbillo sul suolo americano, quando ricevo una chiamata dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) degli Stati Uniti d’America. «Ciao Silvia» dice la voce all’altro capo della cornetta «siamo stati informati che hai il morbillo. Come stai?». «Potrei stare meglio» dico. «Ci dispiace che tu stia male. Come probabilmente sai il morbillo è molto contagioso, dovremmo sapere il nome di tutte le persone con cui sei stata in contatto nei 5 giorni prima dell’esantema». Faccio del mio meglio per non dimenticare nessuno.

«Chiameremo tutte queste persone» dice la voce «per verificare che siano vaccinate e informate del possibile contagio». «Avremmo bisogno» aggiunge in tono serio «che tu rimanga in isolamento fino a domenica, 5 giorni dopo l’inizio dell’esantema, è fondamentale che tu non veda nessuno, tranne gli host parents». Mi spiega che i bambini qui devono essere vaccinati, quindi la popolazione di solito è immune. «Fossi stata contagiosa sull’aereo per Boston, avremmo dovuto chiamare tutti i passeggeri» aggiunge. «Ci avreste messo una vita» dico. «Eh già…».

LA NOTIZIA IN TV
Dopo qualche ora il Cdc richiama, tocca ad Alyce. «Abbiamo parlato con l’ospedale» dice la voce «vorremmo che Silvia facesse un altro esame del sangue e un tampone per assicurarci che sia morbillo. Ma siccome questi esami li richiede lo Stato e sono importanti per la salute pubblica, Silvia non dovrà pagarli, forse riusciamo anche a ridurre i costi delle visite già fatte». Questa volta l’infermiera mi aspetta fuori dall’ospedale, mi dà immediatamente una mascherina e mi porta in isolamento. «Sei risultata non immune al morbillo» dice un medico. «Credevo che in Europa quasi il 100% della popolazione fosse vaccinata». «Forse in Europa in generale sì, ma non in Italia. A Roma ci sono diversi casi di morbillo proprio adesso» dico. «Ah…! Come ti senti?». «Meglio». «Mangi e bevi?». «Sì, faccio la brava». «Non la manderete in prigione per aver portato il morbillo in America vero?» scherza Alyce. «Ma no... Gli italiani che portano le malattie li mettiamo su un’isola» scherza l’infermiera.

La mattina dopo tra i titoli del Tg c’è: «Primo caso di morbillo in Maine in 20 anni». Nel servizio non si fa il mio nome. Si dice solo che un viaggiatore ha contratto il morbillo e lo ha portato nella contea di Franklin. «Se non siete vaccinati e vi trovavate in uno di questi posti» continua il notiziario «potreste essere stati contagiati». Segue l’elenco dei luoghi in cui sono stata prima della quarantena: cinema, ristoranti, negozi… «Hai visto Silvia?» dice Alyce «sei alla Tv». Ho fatto notizia!
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