Migranti, Minniti: mi basterebbe che una nave attraccasse in un altro paese

Migranti, Minniti: mi basterebbe che una nave attraccasse in un altro paese
di Valentina Errante
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Domenica 2 Luglio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 23:01

Interventi concreti per stabilizzare la situazione politica in Libia e un progetto a lungo termine, che si gioca nei rapporti tra l’Unione e i paesi subsahariani. Le richieste del ministro dell’Interno Marco Minniti all’Europa per risolvere l’emergenza immigrazione sono chiare. Un progetto da condividere che non può riguardare solo l’Italia. Ma intanto Minniti batte cassa, perché, dopo anni di sforzi, pretende che e i ventisette Paesi Ue condividano fattivamente la responsabilità dell’accoglienza e aspetta risposte immediate. «Non si può separare l’imperativo morale della salvezza in mare di vite umane dall’obbligo di provvedere alla loro accoglienza - commenta Minniti - Abbiamo dimostrato in questi mesi di essere persone serie, ora chiediamo che l’Europa faccia la sua parte». Un sostegno che, d’altra parte, il ministro sollecita anche agli amministratori locali, chiamati già da tempo a un senso di responsabilità e a rispettare criteri di accoglienza condivisa. 

E se oggi a Parigi si discuterà delle misure da assumere in tempi brevi, per arginare gli sbarchi sulle coste italiane, il ministro chiede anche un investimento politico per fermare le partenze. «La partita fondamentale, in questo momento - spiega - si gioca in Libia: il confine meridionale della Libia è il vero confine meridionale dell’Europa». Del resto i dati parlano chiaro: «Nei primi cinque mesi di quest’anno - dice Minniti - il 97% dei migranti è arrivato dalla Libia, ma la cosa più incredibile è che non c’è un libico. La Libia è un Paese di transito. Bisogna quindi cercare di creare un governo stabile e stiamo lavorando per farlo, sapendo che anche questo è un modo per combattere i trafficanti di uomini, che hanno bisogno di istituzioni deboli per potersi muovere liberamente». 

LA DIFESA DEI CONFINI
L’altro nodo porta ancora in Libia, con il controllo dei confini subsahariani e delle coste. Un fronte sul quale l’Italia è già intervenuta, con trattative diplomatiche e protocolli di intesa, ma dove, adesso, è indispensabile l’intervento dell’Unione: «Con la Libia - spiega Minniti - abbiamo affrontato anche un tema cruciale, ossia quello dei centri di accoglienza, dove dovranno essere rispettati i diritti umani. Perché è prima della partenza che bisogna distinguere chi abbia diritto alla protezione umanitaria da chi non abbia i requisiti. E, in base alle decisioni dell’Agenzia dell’alto commissariato delle Nazioni Unite, assicurare le partenze ai primi verso l’Europa e il rimpatrio volontario assistito dei migranti economici». 

Le pressioni dell’Italia per accordi e interventi con i paesi africani finora sono caduti nel vuoto: «La partita dell’immigrazione - spiega il ministro - si gioca fuori dei confini nazionali, cioè da dove partono i flussi migratori, in Africa. Il destino dell’Europa nei prossimi 20 anni si gioca in Africa. Se qualcuno pensa che l’Africa sia soltanto uno specchio dell’Italia è dentro una drammatica illusione. L’Africa è uno specchio dell’Europa. Se l’Africa va bene, l’Europa andrà bene, se l’Africa va male l’Europa andrà male. 

IL VERTICE
La sfida lanciata all’Europa è ancora in attesa di risposte, il problema della “crisi” italiana sarà affrontato oggi a Parigi: «Ci troviamo a fronteggiare una pressione fortissima», dice Minniti e torna sulla sfida lanciata tre giorni fa con l’ipotesi di “chiudere” i porti. «Si è parlato - dice - di 22 navi, poi sono diventate 25. Non sono barconi, ma navi delle organizzazioni non governative, navi delle operazioni Sophia e Frontex, navi della Guardia costiera italiana. Battono varie bandiere di Paesi europei. Se gli unici porti dove vengono portati i profughi sono italiani, c’è qualcosa che non funziona. Questo è il cuore della questione. Sono europeista e sarei orgoglioso se una nave soltanto, anziché arrivare in Italia, andasse in un altro porto europeo. Non risolverebbe i problemi dell’Italia ma sarebbe un segnale straordinario.

LA PARTITA CON I SINDACI 
Ma c’è anche il fronte interno, che rende la crisi più acuta: la “guerra” degli amministratori locali che chiudono le porte. «L’accoglienza diffusa è la via fondamentale, se ogni comune facesse fino in fondo la propria parte - commenta Minniti - avremmo una situazione molto più vicina alla soluzione. La cooperazione con l’Anci per l’accoglienza ha funzionato, c’è stato un aumento di comuni che hanno aderito, anche se non ci si può dire ancora soddisfatti. In questo quadro di positiva collaborazione - dice il ministro - va vista anche l’istituzione della cabina di regia, coordinata dalla prefettura di Roma, che vede coinvolto il Campidoglio, la sindaca Raggi e tutte le altre amministrazioni». Lo sforzo è enorme: «Appena sono diventato ministro - continua Minniti - ho sbloccato i cento milioni di euro destinati ai comuni, per dare un segnale alle amministrazioni che hanno collaborato. Quei 100 milioni sono diventati, per l’anno prossimo, 150»
L’obiettivo, però, è estendere il “modello Milano”: «Ringrazio moltissimo i comuni dell’area metropolitana di Milano - dice - che hanno firmato insieme un patto per l’accoglienza diffusa».

L’INTEGRAZIONE
Ma c’è anche il pericolo sicurezza e un certo allarmismo che lega gli sbarchi alla minaccia terrorismo: «Io - dice Minniti - non penso ci sia un’equazione tra terrorismo e immigrazione. C’è invece un rapporto tra terrorismo e mancata integrazione. Basta guardare quello che è avvenuto da Charlie Hebdo in poi, i protagonisti degli attentati non vengono dalla Siria o dall’Iraq, sono figli dell’Europa». È questo il cuore del problema: «L’accoglienza ha un limite nella capacità di integrazione - spiega - compito del ministro dell’Interno è far sì che quel limite non venga mai superato, il presente e il futuro del nostro Paese si giocano su queste questioni». Il messaggio è anche politico: «Su questi temi - aggiunge - la poste non sono piccole partite contingenti, di consenso o dissenso, ma i presupposti fondamentali della tenuta e della prospettiva di una democrazia».

LA MINACCIA
Dell’imprevedibilità di un atto terroristico Minniti ha riferito anche in Parlamento, adesso aggiunge: «Il controllo quotidiano del territorio è l’antidoto all’imprevedibilità». Così spiega anche le circolari “safety e security” che, all’indomani dei fatti di Torino, hanno prescritto misure molto rigide per gli eventi di piazza: «Non si intende limitare la partecipazione alle manifestazioni, ma quelle direttive sono uno strumento per garantire la sicurezza». La vera arma contro la minaccia però è la prevenzione: «C’è bisogno di più intelligence - sostiene Minniti - per anticipare e individuare il passaggio dalla radicalizzazione di un soggetto al momento della progettualità terroristica. Un altro strumento preziosissimo sono le espulsioni preventive».

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