Genova, da feudo rosso a laboratorio della destra: ecco come la Superba ha cambiato pelle

Genova, da feudo rosso a laboratorio della destra: ecco come la Superba ha cambiato pelle
di Mario Ajello
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Lunedì 26 Giugno 2017, 01:43
Genova è la Superba. Ma anche la sinistra è la superba. Ed è stata così blindata nella propria certezza da partito piglia-tutto, nelle sue varie versioni dal Pci al Pd, che non s’è accorta di come questa città stava cambiando anima e mutando pelle sotto i suoi occhi appannati e stanchi. E se non fossero così chiusi nelle proprie logiche di un potere che si presumeva inattaccabile, nell’eterno gioco notabilare tra Burlando, la Pinotti, il ministro Orlando che comunque è di La Spezia e nella routine in assenza di visione, i democrat dovrebbero recitare in queste ore i versi di Giorgio Caproni: «Genova mia tradita / rimorso di tutta la vita». 

Questa è la città dei capannoni vuoti, della Esso, della Mobil, della Piaggio, della Saiwa che vanno via: deindustrializzazione hard. Degli immigrati che si presi interi quartieri, dove si parla sudamericano ed erano i rioni degli operai che votavano Pci e ora dei post-operai e degli anziani e dei pochi che restano (aveva 900mila abitanti nel 1970 questa città, ora è scesa a 600mila e ogni anno 4.000 giovani vanno via, soprattutto direzione Milano e Londra) che scelgono la Lega portandola al 13 per cento e la sinistra resiste, a malapena, solo nei quartieri borghesi. E sbaglia, ovviamente, anche quella sinistra sociale, di base, caritatevole, accogliente, che invece di vedere il problema - ossia la perdita di contatto con la gente, la mancata lettura della crisi, lo snobismo di non valutare a pieno le paure di fronte alla bomba dell’immigrazione - si limita ad osservare come fa don Paolo Farinella, ultimo sacerdote “contro” nella città che fu di don Gallo: «Con Bucci e con la Lega, questa città ritornerà alla barbarie». 

IL PENTAPARTITO
Per capire lo choc, basti pensare che l’ultimo sindaco non di sinistra risale agli anni ‘80, Cesare Campart, un repubblicano da pentapartito. E ora? Chi prima votava a sinistra ha visto sparire la superiorità morale, la connessione sentimentale tra partito e popolo, le aziende e un certo modo di vivere i rapporti sociali, l’identità e la sicurezza («Via i clandestini» non è solo lo slogan scritto con vernice sui muri ma anche un sentimento collettivo), e senza più riferimenti questa Genova ha smobilitato o si è affidata al “nuovo”. Prima il Movimento 5 Stelle (ormai sparito in queste comunali, nonostante Grillo sia di qui). Poi il centrodestra a trazione Carroccio, ma con un’immagine di tipo civico. Secondo l’Istituto Cattaneo, il Pd ha perso voti verso M5S negli anni scorsi, che a sua volta ne ha perduti molti ora verso il partito di Salvini. E dunque, per fermare questo che è un terremoto nel tessuto sociale e politico, non basta sventolare lo spauracchio della Lega e del fascismo che torna nella città del 30 giugno 1960 (tutta la Genova rossa degli operai e degli studenti contro il congresso del Msi) e della città che si liberò da sola dal gioco nazifascista. 

Il capovolgimento racconta della Liguria già conquistata dal governatore Toti e della sua capitale che si erge a laboratorio del nuovo centrodestra. Una beffa. Molto annunciata. E la scelta di puntare sul vintage, ossia su Gianni Crivello, sull’infermiere berlingueriano ex segretario della sezione Pablo Neruda, di sinistra-sinistra, assessore uscente e non certo renziano, conteneva già in origine un’idea di rinuncia a vincere e aveva il sentore della Ditta bersaniana. Che può avere senso nel recinto della nostalgia, o della continuità meno nuova rispetto al sindaco arancione Doria, l’uscente, ma non parla fuori da quel mondo.

IL DISAGIO
La sinistra superba non s’è sognata di ascoltare disagi e richieste dei cittadini - il commercio è in crisi nera, per esempio - e nei quartieri collinari un tempo degli operai e dei portuali, dove il Pci aveva consensi bulgari, la Lega è al 23 per cento. Spiega l’ex sindaco, di sinistra, Pericu: «Abbiamo perso la nostra identità e non siamo riusciti a esprimerne una nuova, quando la crisi ha cominciato a colpire». Proprio così. Ma c’è di più. C’è un degrado visibile e un clientelismo dei soliti noti di una sinistra diventata motore immobile di una città che si è sempre sentita sulla cresta dell’onda. E ora tradisce perché si sente tradita. E in quartieri popolari, come Cornigliano, con la Lega al 20 per cento, si racconta di gente che al santino (non rinnegato) di Berlinguer ha unito la speranza Salvini. Mentre Renzi guaggù nessuno l’ha visto. 
 
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