Credito e lavoro/ E Draghi vigila sulla tenuta del sistema Paese

Credito e lavoro/ E Draghi vigila sulla tenuta del sistema Paese
di Osvaldo De Paolini
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Giovedì 1 Giugno 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 11:27
Mario Draghi in prima fila nella sala delle assemblee della Banca d’Italia, ad ascoltare le Considerazioni Finali lette da Ignazio Visco, è stata una sorpresa. Alcuni ieri vi hanno letto un endorsement per un secondo mandato al governatore, la cui scadenza è prevista in autunno proprio a cavallo delle probabili elezioni. Per quanto verosimile, sarebbe però una lettura superficiale o quantomeno parziale. In quella presenza c’era molto di più, oltre alla cortesia e l’apprezzamento per l’istituzione e la persona di Visco: c’era il chiaro desiderio di mostrare un sostegno concreto all’Italia in un momento particolarmente delicato.

Non capita tutti i giorni di veder coincidere il varo della legge di Stabilità con l’avvio di una nuova legislatura o quale atto finale di un governo. I rischi di instabilità che accompagnano queste insolite circostanze vanno evitati. Perciò, se è comprensibile l’ansia del presidente Sergio Mattarella affinché la manovra 2018 sia delineata per tempo con precisione - di qui il pressing sui partiti perché diano garanzie credibili in tal senso - a maggior ragione si può comprendere la preoccupazione di Draghi.

Uno sguardo attento per un’Italia che all’appuntamento con l’Europa non deve presentarsi con una contabilità ancora aperta, le sue debolezze bancarie irrisolte e una situazione politica tutta da decifrare proprio quando la Banca centrale europea si appresta ad allentare la politica monetaria accomodante fin qui attuata attraverso il Qe. Uno scenario che va evitato, perché rischierebbe di diventare una ghiotta occasione per la grande speculazione internazionale, da tempo sulla riva del fiume in attesa di un passo falso proprio dell’Italia che, a causa di un debito pubblico che non recede, è da molti considerata il nuovo anello debole di un’Europa che tenta di ricompattarsi dopo lo strappo che ha innescato la Brexit. 

Sarebbe una iattura non solo per l’Italia, che vedrebbe schizzare nuovamente lo spread alle stelle con conseguenze sulla sua capacità di rifinanziamento del debito, ma probabilmente per l’Europa tutta, al punto da mettere in dubbio la sua tenuta di là delle volontà politiche. Di qui l’estrema attenzione di Draghi all’ampia disamina di Visco, che se in certi passaggi è sembrata sfumare nell’ottimismo, letta più compiutamente rivela quanto precaria sia ancora la situazione economica in cui versa il Paese. Debito pubblico, sofferenze bancarie e lavoro per chi non ce l’ha sono le tre questioni irrisolte che segnano il ritmo nelle 26 pagine delle Considerazioni Finali. Alle quali il governatore Visco - questa la seconda sorpresa - ha voluto aggiungerne quattro scritte di suo pugno per spiegare «in modo meno formale» quanto in questi anni di crisi l’azione della Banca d’Italia sia stata corretta, contrariamente alle «critiche anche aspre ricevute, spesso sostenute da imprecisioni anche gravi». Ma più che le giustificazioni a supporto del suo operato, colpisce il linguaggio insolitamente duro usato nei confronti dell’Unione europea alle prese con le crisi finanziarie: «Più forte nel proibire che nel fare». Giudizio totalmente condivisibile, sebbene l’Europa «deve restare un’ancora salda». Ma quanto quel giudizio sia appropriato lo si è visto nel caso della finanza pubblica, dove in assenza di un bilancio comune è stato difficile garantire sostegno alla ripresa economica. E lo si è visto soprattutto nella gestione delle crisi bancarie e nella tutela della stabilità finanziaria, «dove la frammentazione dei poteri tra un numero elevato di autorità finisce talvolta col rendere difficile l’individuazione delle misure da prendere, rallenta azioni che, per essere efficaci, richiederebbero invece estrema rapidità».

Ben detto governatore Visco. Era tempo che queste considerazioni giravano negli ambienti finanziari, eppure ancora oggi ci troviamo alle prese con la vicenda delle due banche venete che senza una rapido intervento risolutivo, con i loro 40 miliardi di depositi e i 30 miliardi di finanziamenti alle imprese locali rischiano di scatenare una tempesta perfetta nel nostro sistema bancario. Con tutto ciò che questo può significare in termini di conseguenze per l’Europa. Eppure è ormai chiaro che la soluzione non può essere quella pretesa da Bruxelles, che in una forma moderna di Comma 22 chiede che i privati brucino (letteralmente) 1 miliardo di tasca propria per consentire al Tesoro di intervenire con l’aiuto di Stato. Dunque, la sola via che resta è il passo indietro di Bruxelles, dove la cosiddetta DG Com (più precisamente la divisione Directorate-General for Competition) ha chiaramente sbagliato a fare i conti pretendendo dalla Popolare di Vicenza e da Veneto Banca grandezze di bilancio che nemmeno Intesa Sanpaolo, uno degli istituti più sani d’Europa, è in grado di produrre. È a questo che si riferiva Visco? Lo auspichiamo.

E’ comunque nel messaggio finale rivolto ai partiti politici che la disamina di Visco si salda nuovamente con gli energici inviti del Presidente della Repubblica a far sì che la blindatura della manovra sia ineludibile. Sembra dire Visco: le elezioni di per sé non sono né positive né negative, l’importante è che la ricerca del consenso avvenga su programmi chiari e saldamente fondati sulla realtà, indipendentemente da chi sarà il nuovo inquilino di Palazzo Chigi.
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