Grazie a un atto falsificato, sarebbero riusciti a sbloccare una cifra a sei zeri procurandosi un enorme e ingiusto vantaggio. Nel 1990, il nobile aveva lasciato i suoi averi alla "Fondazione Gerini", ente costituito nel 1963 sotto l'autorità morale della Congregazione. Alcuni nipoti avevano impugnato la disposizione testamentaria rivolgendosi anche a Silvera, in qualità di procuratore. Nel 2007 viene firmato un accordo che assegna 5 milioni ai nipoti e 11 milioni e mezzo al faccendiere. Il patto prevede però che la percentuale di Silvera debba essere rivalutata dopo la stima dell'intero patrimonio di Gerini. A occuparsi del calcolo, una commissione di cui fa parte l'avvocato Zanfagna, che fissa l'ammontare dei beni in 658 milioni. La parte spettante a Silvera sale quindi a 99 milioni, di cui 16 versati come acconto nel 2007. La Fondazione, in una denuncia presentata dall'avvocato Michele Gentiloni Silveri, sostiene che l'accordo non si dovesse fare. Dalle indagini sarebbe poi emerso l'inganno: l'economo dell'ordine, don Mazzali, avrebbe falsificato i verbali del Consiglio generale della congregazione.
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