Province nel caos: «Siamo senza fondi per strade e scuole»

Province nel caos: «Siamo senza fondi per strade e scuole»
di Claudio Marincola
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Domenica 16 Aprile 2017, 13:28 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 12:05
«C'è una larga condivisione tra le forze politiche per ritornare alle elettività delle ex province, del resto i dipendenti sono rimasti più o meno gli stessi e anche le competenze: la Sicilia è pronta a fare da apripista per ripristinarle». Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia all'Assemblea regionale siciliana non ha dubbi: «C'è una larga intesa per approvare il mio disegno di legge». In 4 articoli un colpo di spugna che reintrodurrebbe l'elezione popolare del presidente e dei consiglieri provinciali. E i tagli? «Nel 2011 spendevamo 64 milioni, fare le stesse cose ora ce ne costa 69», dicono in Sicilia.

CONFUSIONE E NON SOLO
Un caso limite? No. La confusione sotto il cielo delle province italiane è totale. La vittoria del No al referendum del 4 dicembre scorso ha cristallizzato tutto, impedendo l'eliminazione delle Province dalla Costituzione. Tre articoli della Carta (114, 117 e 119) assegnano agli enti intermedi funzioni amministrative e autonomia finanziaria e di spesa. Ma in realtà da tempo non è così perché nel frattempo la ristrutturazione delle Province è partita.

«La riforma Delrio del 2014, forse in modo inconsapevole, ha costretto i sindaci a confrontarsi e a occuparsi dei loro territori. Perché ora sono i sindaci (e non più gli elettori) ad eleggere i consiglieri e il presidente della loro provincia o Area Vasta che dir si voglia. Ma questo è successo solo nelle 15 Regioni a statuto ordinario», spiega Achille Variati, pd, primo cittadino di Vicenza e presidente dell'Upi, l'Unione delle province italiane. Dunque mettiamo un primo punto fisso: nelle 15 Regioni normali le Province, anche se ora si chiamano enti di Area Vasta, non sono state eliminate ma ristrutturate e, in alcuni casi, accorpate.

In questi anni, sono nate 10 Città metropolitane intorno alle aree metropolitane più importanti (come accade in tutt'Europa) mentre il Tesoro ha chiuso i cordoni della borsa. Le Province dopo aver perso il loro personale politico sono dimagrite trasferendo ad altri enti la metà dei loro dipendenti (tutte assieme ora hanno meno personale del Comune di Roma) e si sono concentrate su una sola funzione: la manutenzione delle strade provinciali e degli istituti scolastici.

Per la cronaca: il consiglio dei ministri ha approvato il 12 aprile scorso un decreto legge che per il 2017 stanzia 110 milioni in più per le province delle regioni a statuto ordinario. Altri 100 milioni sono stati stanziati per la manutenzione delle strade. Cifre che i rappresentanti degli enti locali ritengono insufficienti: ne chiedono 600 di milioni (oltre quelli già stanziati) per sopravvivere. «Altrimenti - avvertono - si rischia la bancarotta, il default». Non sono solo parole: nella provincia di Belluno una delle strade che portano a Cortina d'Ampezzo, ovvero uno dei più importanti centri turistici italiani, è stata chiusa per mancanza di fondi.

IL LODO
Ma torniamo in Sicilia dove il mancato adeguamento alla legge 56/14 da parte dell'Assemblea Regionale ha di fatto determinato il dissesto finanziario delle 9 ex province regionali. Eppure fu proprio il governatore Crocetta ad assumere in diretta tv, all'Arena, l'impegno di cancellare gli sprechi e dunque gli enti tanto che qualcuno ribattezzò quella promessa il lodo Giletti. Problemi istituzionali e scontri hanno avuto un effetto devastante sui servizi erogati dai neonati Liberi Consorzi Siciliani. Anche perché nel frattempo per non far torto a nessuno sono state istituite ben 3 (leggasi tre) città metropolitane: Palermo, Catania e Messina. Nell'arco di tre anni alla guida delle Province dell'Isola si sono alternati una sessantina di commissari, un tourbillon di nomine ma il personale, oltre 5 mila dipendenti, è rimasto lo stesso.

Anche in Sardegna, altra Regione a Statuto Speciale, le province di Sassari, Nuoro e Oristano e Sud Sardegna continuano a esistere. Costano 320 milioni di euro prelevati dal fondo unico della Regione. Un referendum aveva chiamato nel 2015 i sardi a votare per la cancellazione di 4 mini-province ora commissariate: Sulcis Inglesiente, Ogliastra, Medio Campidano e Olbia Tempio. Il Consiglio regionale ha stabilito che gli amministratori straordinari resteranno in carica fino al 31 dicembre del 2017 anche se le elezioni di secondo livello si svolgeranno prima. Percepiranno una indennità equivalente alla retribuzione di un dirigente di vertice. Altro che tagli...
Anche in alcune Regioni a statuto ordinario non tutto fila liscio. In Calabria è stata istituita la Città metropolitana di Reggio Calabria, peccato che era rimasta in vita la vecchia Provincia. Solo nel febbraio scorso il presidente Giuseppe Raffa, che pure fu eletto nel lontano 2011, è cessato da tutte le sue funzioni.

INDIETRO TUTTA
Con l'abolizione delle province in Veneto sarebbero saltati 213 politici. La riforma avrebbe riguardato 4 enti intermedi su 7 ma nell'aprile di due anni fa scesero a Roma migliaia di dipendenti ancora senza destinazione. Il presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia, che nel 2013 aveva annunciato per coerenza la riproposizione di un ricorso alla Corte costituzionale per il riordino delle Province, ha firmato un accordo quadro con il sindaco dem di Vicenza: la regione Veneto per tirare fuori dai guai l'ex Provincia tirerà fuori 40 milioni di euro. Destinati a edilizia scolastica, strade e ambiente.

In Lombardia e Piemonte, le Regioni che forse hanno applicato meglio la Delrio, i dipendenti provinciali continuano a fare le stesse cose di prima solo che ora sono nei ruoli della Regione. Con le casse ormai a secco, i presidenti delle Province ormai al collasso sono passati dalle parole ai fatti. Dopo l'assemblea nazionale hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica. Non sanno come pagare gli stipendi ai 20 mila dipendenti che non sono transitati in un'altra amministrazione. Nell'arco di tre anni la legge di Stabilità ha tagliato complessivamente circa 3 miliardi euro, tributi che ora restano nelle casse dello Stato. «Di questo passo però chiudiamo e andiamo a casa», continua a dire il presidente dell'Upi, Variati. Ma non è chiaro se è una minaccia o una promessa.
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