Mafia capitale, il pm Ielo: «Buzzi è un caso di inattendibilità assoluta»

Mafia capitale, il pm Ielo: «Buzzi è un caso di inattendibilità assoluta»
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Martedì 11 Aprile 2017, 13:40 - Ultimo aggiornamento: 15:25

«Buzzi è un caso di scuola di inattendibilità assoluta e radicale. Per valutare ciò sarebbe sufficiente ricordare l'interrogatorio del 30 marzo. Buzzi, che quattro mesi prima era stato arrestato per gravissimi reati e a pagina 81 dice: "spenga quel registratore". Cascini gli dice questo ufficio rispetta le regole, andiamo avanti. Questo potrebbe bastare ma è davvero solo l'inizio». Così il procuratore aggiunto Paolo Ielo nel corso della requisitoria per il processo Mafia capitale, in corso nell'aula bunker di Rebibbia.

E ancora: «Non è stato un Truman show, i vari protagonisti parlavano di fatti veri. L'associazione mafiosa sta tutta qui in questa aula, è quella che è stata contestata nell'ordinanza di custodia cautelare, sbaglia chi pensa che con il decreto di archiviazione si sia sgonfiato tutto. L'accusa non è in guerra con nessuno, dal 416 bis alle frodi fiscali, questo Ufficio non ha giocato barando». Per la requisitoria il procuratore aggiunto Paolo Ielo è il primo a prendere la parola, affiancato dai sostituti Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini. Alla sbarra 46 imputati, tra cui i "capi", secondo l'accusa, della "cupola" romana Salvatore Buzzi e Massimo Carminati con accuse che vanno dall'associazione per delinquere di stampo mafioso alla corruzione ma anche turbativa d'asta, minacce ed estorsione.

«L'esercizio dell'azione penale si è collocato per tutte le fattispecie di reato nel solco degli orientamenti giurisprudenziali - ha aggiunto Ielo - Il cuore di questo processo sono le intercettazioni telefoniche e ambientali, che costituiscono una prova autonoma senza bisogno di riscontro. Ascoltatele anche voi e verificate se il tono di quelle dichiarazioni e di quelle conversazioni fosse quello di quattro amici al bar che chiacchieravano».

«La Procura - ha aggiunto - ha usato il criterio della prudenza nel valutare il contenuto delle conversazioni e nel ricercare riscontri nei confronti di terzi soggetti coinvolti. In mancanza di questi riscontri e di una prova solida, abbiamo chiesto l'archiviazione. Altrimenti si tratta di telefonate vere, spontanee, genuine, che hanno una loro logica e una loro coerenza con i luoghi in cui si svolgono, con i personaggi protagonisti di queste conversazioni, con gli eventi esterni. La pretesa di questa Procura è di basarsi su principi di par condicio sia nella valutazione delle prove sia nella ricostruzione dei reati».

Mafia Capitale è una «nuova mafia che non è nuova», che affonda le sue radici «nel capitale originario» accumulato dalla commistione tra la banda della Magliana e l'eversione nera. Una mafia «diversa da tutte le altre organizzazioni, perché non è importata ma nasce in questa città» che si è evoluta passando dal «recupero crediti violento» all' «acquisizione di appalti e commesse pubbliche». Così il pubblico ministero Giuseppe Cascini, nel riprendere la requisitoria di Ielo, ha definito le caratteristiche dell'organizzazione che dominava il mondo di mezzo.

«Non dobbiamo stabilire oggi se c'è la mafia a Roma, sappiamo che c'è - dice Cascini nella sua requisitoria - Lo sappiamo dai processi celebrati ad appartenenti alle cosche e dai sequestri patrimoniali. Dunque non dobbiamo stabilire qualcosa che già si sa, dobbiamo stabilire se questa associazione rientri nel perimetro del 416 bis. La matrice dell'organizzazione, sostiene dunque la procura, trae origine da quella criminalità che ha infestato Roma a cavallo degli anni '70 e '80 in cui Carminati ha avuto un ruolo fondamentale grazie al suo capitale criminale. Questo fa sì che Mafia Capitale non ha necessità di imporre con la violenza la propria forza, perché può contare sul capitale originario« e su una città, Roma, che è diversa da tutte le altre.
«Tutti sanno bene - dice infatti Cascini - che non ci potrà mai essere nella Capitale un'unica organizzazione che comanda, non ci sarà mai un capo unico. A Roma da decenni vige un patto di convivenza tra organizzazioni autoctone e provenienti dai territori tradizionali. Con uomini che hanno fatto da garante a questa pax, in cui non si ammazza e non ci sono guerre tra bande. Questi uomini sono Carminati, Senese e Fasciani». Mafia Capitale, conclude Cascini, è una «storia che parte dai pollici spezzati dietro al benzinaio e arriva al sindaco della città. E solo guardandola nella sua dimensione unitaria noi riusciamo a coglierne la mafiosità».

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