Mafia Capitale, Carminati: «Mi aspettavo il nuovo arresto avevo già la borsa per la cella»

Mafia Capitale, Carminati: «Mi aspettavo il nuovo arresto avevo già la borsa per la cella»
di Valentina Errante
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Martedì 4 Aprile 2017, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 14:11

La borsa per andare a Rebibbia Massimo Carminati l'aveva già preparata da tempo. «Vedevo che mi seguivano. Stavano davanti al negozio. Me ne sono accorto a metà 2011. Nel 2013 ero certo che sarebbe accaduto: ogni giorno poteva essere quello buono. Tenevo una valigia in cooperativa, perché pensavo che magari non sarebbero venuti a casa, ma io sarei stato pronto ad andare». Parla ancora il Nero, al processo Mafia Capitale. In collegamento dal carcere di Parma, risponde alle domande della difesa di Salvatore Buzzi. L'avvocato Alessandro Diddi va dritto al cuore dell'inchiesta: il ruolo di Riccardo Mancini, promotore degli affari tra il re delle coop e Carminati, quello che per la procura è il vincolo mafioso. Il nodo non si scioglie, l'ex ad di Eur spa, scagionato da tutte le accuse, rimane il convitato di pietra del processo. Il Nero non chiarisce, si ferma a un certo punto e sceglie ancora di avvalersi della facoltà di non rispondere.

BUZZI&CARMINATI
I passaggi chiave rimangono oscuri. Carminati non spiega come sia diventato socio al 50 per cento di Buzzi, ripete ancora che Mancini per lui «era come un fratello», per questo l'ad di Eur, alla vigilia di un mega appalto che avrebbero vinto le coop, aveva chiesto a Buzzi di «farlo lavorare». L'ex Nar aggiunge: «Non gli fece alcuna pressione». Non dice per quale ragione il ras delle coop abbia scelto di dividere gli incassi, quale fosse la posta di quell'affare, visto che lui, Carminati, nella società non aveva messo un solo euro: per la procura è l'origine dell'associazione mafiosa. Poi il Nero sceglie di avvalersi della facoltà di non rispondere sui 50mila euro da consegnare a Franco Panzironi, ex ad Ama, per sbloccare i vecchi pagamenti dell'ente alle coop. Quando in aula viene recitato il lungo elenco dei politici e dei dirigenti pubblici coinvolti a diverso titolo nelle indagini, da Alemanno a Zingaretti, la risposta del Nero è sempre la stessa: «Mai conosciuti». Lo stesso sulle altre frequentazioni abituali di Carminati, una per una. Buzzi, precisa l'ex Nar, non ha mai avuto rapporti con quelle persone.

ROMANZO CRIMINALE
Intanto da ieri agli atti del processo ci sono anche il frontespizio e le copertine di Romanzo criminale e Suburra, scritti dal giudice Giancarlo De Cataldo. È stato Diddi a depositare i libri che, in un mix di verità e fantasia, raccontano Il Nero e le sue imprese da bandito. Perché De Cataldo, che ha condannato in primo grado Carminati per la banda della Magliana, nel 2011, da magistrato di sorveglianza, concesse l'affidamento in prova ai servizi sociali all'ex Nar. Non è un passaggio da poco. «Perché Buzzi doveva avere coscienza che Carminati fosse un mafioso, se neppure De Cataldo, che gli concesse i benefici, lo pensava?».

A LONDRA CON LA DIGOS
Il boss si sentiva braccato. In udienza salta fuori un'intercettazione inedita: è Alessia Marini, la compagna del Nero, a raccontare al telefono come l'ex Nar si svegliasse nel cuore della notte urlando con la certezza che fossero venuti ad arrestarlo. «Credevo fosse la Digos - spiega Carminati - mi seguivano dappertutto. Mi è stato definitivamente chiaro in aeroporto nel luglio 2012. Stavo partendo per Londra, ho avuto un diverbio acceso con una di queste persone. Quello non ha fatto una piega, è stato cortese, non ha reagito. Così ho capito che erano poliziotti. C'è anche un'intercettazione dove al telefono scherzo e dico che sono andato a Londra con la Digos». Il Nero ammette che con il suo avvocato, Giosuè Naso, si interrogava su quale potesse essere l'accusa, quale l'inchiesta della procura, entrambi pensavano al rapporto con il commercialista Marco Iannilli, arrestato e finito nel processo per le tangenti sui filobus. «Non sospettavamo certo che fosse per il mio lavoro nelle coop, dove avevo scelto di non comparire solo per sottrarmi alle parti civili del processo sul furto al caveau, che da me volevano qualcosa come 20 miliardi di vecchie lire».
 

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