Legge elettorale, senza un accordo decreto a gennaio

Matteo Renzi
di Alberto Gentili
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Domenica 2 Aprile 2017, 10:28 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 10:54
«Mi descrivono come un perfido e malevolo alchimista che trama sulla legge elettorale. In realtà io sono vittima e ostaggio della legge elettorale». L'altra sera, parlando con Maria Elena Boschi e altri amici, Matteo Renzi è sbottato. Sotto gli occhi dell'ex premier, l'ennesimo articolo di giornale che raccontava di un suo ritorno di fiamma per le elezioni anticipate. «Magari, sarebbe la cosa migliore per il Paese, ma sono leale con Gentiloni. Soprattutto, a decidere sulle urne è il presidente Mattarella...».

Il riferimento al capo dello Stato non è causale. Dal 25 gennaio, da quando la Consulta ha cambiato i connotati all'Italicum abolendo il ballottaggio, Renzi aveva sempre pensato che in mancanza di un'intesa in Parlamento si potesse andare a votare con i sistemi elettorali così come sono stati ritoccati dalla Corte Costituzionale. Invece, negli ultimi giorni, dal Quirinale è stato alzato un disco rosso. Renzi ha saputo che, secondo Mattarella, con il doppio Consultellum non si potrebbe neppure disegnare la scheda elettorale.

E che dunque, in mancanza di un'intesa in Parlamento, l'epilogo più probabile sarà un decreto tecnico varato dal governo di Paolo Gentiloni in gennaio. Con due conseguenze. La prima: a dettare il contenuto del provvedimento sarebbe il capo dello Stato, visto che il premier ha sempre detto che non spetta a lui occuparsi di legge elettorale. La seconda, considerati i tempi di conversione del decreto e dei successivi adempimenti tecnici, la data del voto potrebbe slittare al maggio del 2018.

I PRIMI PALETTI
Da qui la frustrazione di Renzi, il suo sentirsi ostaggio della trattativa sulla legge elettorale. «Ma una cosa è certa», si affretta a dire uno dei suoi più stretti collaboratori, «il decreto non potrà cancellare i capolista bloccati, né il premio di maggioranza alla lista: il testo base resterebbe l'Italicum corretto, con l'aggiunta della doppia preferenza di genere e l'armonizzazione delle soglie di sbarramento». E qui, per l'ex premier, c'è un ulteriore problema: è probabile che Mattarella, per garantire la presenza nel prossimo Parlamento di quasi tutte le forze politiche, suggerisca una soglia bassa, estendendo anche al Senato lo sbarramento al 3% dell'Italicum. E bye bye soglia dell'8% al Senato. Renzi, invece, punta almeno al 5% in entrambe le Camere nella speranza di cancellare i piccoli partiti. In primis il Mdp di Bersani e D'Alema.

Per scongiurare questo epilogo, e c'è chi dice anche per tentare di anticipare le elezioni al 24 settembre, Renzi dopo le primarie di fine mese potrebbe ammainare la bandiera del Mattarellum che non piace a nessuno tranne che al Pd. Per poi cercare un'intesa o con Silvio Berlusconi o con Beppe Grillo. Obiettivo: estendere al Senato l'Italicum della Camera. «Ma nessuno sa cosa vuole il Cavaliere, sembra puntare al proporzionale visto che non riesce a coalizzarsi con Salvini... Grillo? Era e resta inaffidabile».

LA QUESTIONE DEI NUMERI
Matteo Orfini, presidente del partito, però non si dà per sconfitto: «Manca ancora una vita, ci sarà pure un modo per riuscire a fare una legge elettorale!». Ma lo stesso Orfini boccia l'idea dei grillini di un premio di governabilità: «Sono stato io il primo a proporlo, in Parlamento purtroppo però non ci sono i numeri».

Non ci sono perché, dopo la vittoria del No al referendum del 4 dicembre, si è affermata l'idea del ritorno al proporzionale. Il sistema che garantisce un posto e mani libere a tutti. E addio, a meno di replicare il 40,8% ottenuto alle europee del 2014, al sogno renziano di tornare in solitudine a palazzo Chigi. Tant'è, che il decreto tecnico di gennaio sancirebbe - oltre all'impossibilità di scrivere un sistema simil maggioritario in grado di garantire sprazzi di governabilità - la riesumazione delle formule da Prima Repubblica. Ricordate il pentapartito?
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