Quel corto circuito tra Agenzia delle Entrate e Cassazione

La sede dell'Agenzia delle Entrate
di Giovambattista Palumbo*
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Mercoledì 15 Marzo 2017, 16:12 - Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 08:49
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 6185 del 10.03.2017, ha chiarito una questione molto interessante, mettendo in evidenzia il possibile “corto circuito” che si verifica in caso di contrasto delle Circolari dell’Agenzia delle Entrate (in questo caso considerate dalla Commissione Tributaria come se avessero valore normativo) con la disposizione di legge. La particolarità della vicenda in esame atteneva al fatto che l’Ufficio finanziario, in sede di ricorso per Cassazione, censurava, di fatto (e di diritto) il giudice di appello, laddove quest’ultimo aveva applicato una Circolare della medesima Agenzia delle Entrate, poi effettivamente ritenuta dalla Corte contraria al disposto normativo.

Al di là della specifica questione tecnica trattata dai giudici, il punto focale è il seguente. I giudici devono decidere in base (e solo in base) alle previsioni di legge. E dunque ogni Circolare dell’Amministrazione Finanziaria contraria alla legge sarà da loro considerata irrilevante. La Circolare, afferma la Corte da sempre, non vincola né il contribuente, né il giudice, non costituendo fonte di diritto. Ammettere del resto che la Circolare sia vincolante per i giudici o per il contribuente, equivarrebbe a riconoscerle un potere normativo in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione.

A causa peraltro della complessità delle leggi in materia fiscale, l’Amministrazione potrebbe, a volte, anche non interpretare correttamente una norma (errare humanum est), portando poi ad un’applicazione operativa da parte degli Uffici (che a quelle Circolari si conformano), o (come nel caso di specie) dei giudici di merito (che, evidentemente, a quelle Circolari fanno spesso riferimento), che, laddove tale interpretazione sia più favorevole per il contribuente rispetto al disposto della legge, potrebbe anche comportare una violazione del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria (e finanche una perdita di gettito erariale rispetto al dovuto). Ma se nel caso di una interpretazione più sfavorevole per il contribuente rispetto alla legge la garanzia di sistema è fornita dallo stesso contribuente che può adire la giustizia tributaria (sola depositaria dell’interpretazione ultima della volontà del legislatore), chi contesterà mai (innescando il giudizio che, solo, potrebbe certificarne la legittimità) un’interpretazione più favorevole per il contribuente, eventualmente contraria, tuttavia, al disposto della norma? Non certo il contribuente contro il suo interesse.

E, in teoria, neppure gli Uffici, che alle Circolari della propria Amministrazione si devono conformare, essendo queste equiparate, sostanzialmente, a degli ordini gerarchicamente superiori. In tal caso, dunque, di fatto, l’Amministrazione potrebbe assumere il ruolo ultimo di giudice e legislatore, senza peraltro alcun possibile meccanismo di controllo, neppure giudiziale. Nel caso di specie, peraltro, almeno dalla lettura della sentenza, sembra essersi andati anche oltre, laddove, a fronte di una corretta interpretazione da parte dell’Ufficio (altrimenti non ci sarebbe stato l’accertamento e il ricorso per Cassazione) è stata addirittura la Commissione Tributaria regionale che si è sentita vincolata da quella Circolare (magari non comprendendo che le sue indicazioni erano limitate alla fase istruttoria della verifica).

Forse allora la Cassazione ha voluto affrontare proprio tali interrogativi, evidenziando che, comunque, laddove il caso arrivi in giudizio, dovrà prevalere la legge. Andando peraltro a vedere più nel dettaglio il caso di specie, resta del resto il fatto che, a quanto ci dice ora la Cassazione e a prescindere dalle particolari dinamiche processuali, la Circolare n. 31/2006 stabilisce, di fatto, un regime probatorio più favorevole per il contribuente (soprattutto nel caso di società della grande distribuzione), non previsto però nella norma, invitando i funzionari verificatori a valutare bene, in sede istruttoria, la situazione, prima di decidere se applicare o meno la presunzione legale stabilita dalla norma (che presume in pratica vendite in nero in caso di discordanza nelle scritture di magazzino, senza lasciare in effetti margini a valutazioni più o meno discrezionali su tale discordanza, come peraltro, anche in questo caso, confermato da innumerevoli sentenze della medesima Corte di Cassazione).

A parte però se un tale invito, nella fattispecie, possa essere effettivamente ragionevole (cosa peraltro anche possibile), il problema, anche alla luce di quanto evidenziato dalla Corte, è però un altro: può l’Agenzia decidere, per suo conto, che quella presunzione, almeno in certi casi, può non essere ragionevole? Non si dovrebbe piuttosto, laddove una tale presunzione non fosse effettivamente ragionevole, cambiare la norma? E come si risolve il possibile corto circuito istituzionale che si crea quando il giudice della Cassazione dice che una Circolare (a favore o contro il contribuente che sia) è contraria al disposto della legge? Non si rischia infine di creare confusione tra i funzionari (con, possibile, conseguente disparità di trattamento per i contribuenti), che non sanno se obbedire alla legge o alla Circolare (o alla Cassazione, che dice che quella Circolare è contra legem)? Forse per rispondere a tali quesiti la Suprema Corte, nella sentenza citata, chiarisce dunque che le istruzioni impartite dall'Amministrazione operano soltanto nei confronti dei verificatori in fase accertativa (rischiando però così, a ben riflettere, che un accertamento non giunga mai davanti al vaglio del giudice), ma non possono «influenzare il giudizio di legittimità dell'azione accertatrice, allorché sia sfociata in un atto formale di contestazione, rendendosi di fronte ad essa applicabili le sole norme di legge».

Ma le norme di legge non dovrebbero essere le sole applicabili (e il solo punto di riferimento) anche nei confronti dei contribuenti e (ancor più) dell’Agenzia delle Entrate? Certo una tale risposta, più che alla giurisprudenza della Cassazione, dovrebbe spettare alla Politica, però così il problema rischia di restare senza una efficace risposta, soprattutto laddove la Corte evidenzia che era evidente, nel caso di specie, l'errore in cui era incorsa la Commissione Tributaria Regionale, la quale, invece di chiedersi se le presunzioni insite nel rilievo delle differenze inventariali fossero state superate secondo la disciplina di legge, ne aveva di fatto escluso l'operatività sulla base delle indicazioni di cui alla citata Circolare dell'Agenzia dell'Entrate, inidonee però, per quanto già detto, ad influenzare il giudizio sulla legittimità dell'accertamento. Ma la legittimità dell’accertamento dovrebbe essere un concetto sostanzialmente coincidente sia in sede amministrativa e giudiziaria. Forse anche per questi motivi la gestione del contenzioso tributario (soprattutto in Cassazione) è ormai un problema di rilevanti dimensioni.

*Direttore Osservatorio Politiche Fiscali Eurispes
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