Veto ai comizi turchi/ I no europei calpestano lo Stato di diritto

di Giulio Sapelli
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Martedì 14 Marzo 2017, 00:05
Che cosa sia oggi l’Europa nella sua trasformazione impetuosa e rapidissima sotto i colpi di una vera e propria crisi di identità culturale e morale lo si può dedurre riflettendo sui fatti d’Olanda e di Turchia, ossia sul conflitto tutto politico tra il presidente di una nazione sempre oscillante tra l’adesione all’Europa e la repulsa della medesima per incardinarsi nel punto archetipale dell’Eurasia che irradia l’hinterland del mondo islamico ottomano - quindi non arabo e non persiano - e costituisce il cuore del potente mondo euroasiatico.

Guai se questo punto oscilla dall’una o dall’altra parte sino a perdere ogni rapporto con la sponda che sta di fronte a ciascuna delle due. E tuttavia è ciò che potrebbe accadere con il referendum che il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha indetto per consolidare i suoi poteri dopo il colpo di Stato che qualche mese fa ne minò la permanenza alla guida del Paese. Per vincere il referendum, Erdogan ha assolutamente bisogno del consenso delle minoranze turche che vivono e lavorano da più di un lustro nelle potenze economiche europee, prime fra tutte la Germania, l’Olanda, la Danimarca, il Belgio. Vistosi rifiutato il permesso di far incontrare i politici a lui fedeli con il popolo turco che vive in Europa, Erdogan ha alzato la posta, prima con accuse di nazismo al governo olandese e poi inviando, con una mossa diplomatica non proprio ortodossa, ministri del suo governo a visitare le minoranze turche ovunque insediate.

Ciò ha innescato una reazione a catena culminata nella vicenda della ministra della Famiglia Fatma Beytul Sayan Kaya, un’esponente della politica turca quanto mai influente e popolare tra le donne ottomane, respinta malamente e accompagnata al confine olandese, dopo averle impedito di accedere al proprio consolato.

L’Olanda, terra delle libertà civili che divamparono contro il confessionale impero spagnolo arrivando a trasformare l’Europa, ha pure vietato l’ingresso nel paese al ministro degli Esteri Meviut Cavusioglu, mentre, dal canto suo, la Danimarca cancellava la visita prevista da mesi del premier ottomano Binali Yldrim. In Austria e Svizzera, nel contempo, si vietavano gli incontri già previsti tra le minoranze turche e i capi politici in arrivo dalla Turchia.
Inevitabile la caduta verticale dei rapporti diplomatici e l’inasprimento del clima internazionale che non potrà che favorire le manovre inclusive di Paesi seduti sulla riva come la Russia di Vladimir Putin; mentre le destre europee verranno certamente avvantaggiate da questo clima, perché l’odio xenofobo avrà nuova legna da ardere nel camino dello sgretolamento dello stato di diritto.

E questa è conseguenza diretta dell’angoscia profonda che si sta radicando in Europa, alimentata da una destra composita e decisa a porre in discussione le fondamenta stesse dell’Unione: il diritto all’inclusione e alla diversità culturale. Sono queste fondamenta che l’oligarchia tecnocratica dell’eurozona ha contribuito a minare, seminando per anni il messaggio dell’austerità che col tempo si è mescolato alle paure verso l’Islam fino a giustificare il rifiuto della libertà di parola nei confronti degli esponenti di partiti estranei alle tradizioni europee, come appunto è quello di Erdogan.

Ma milioni di turchi vivono in Europa, e questi milioni di turchi devono trovare nell’Europa di oggi una civiltà etica e giuridica superiore, una civiltà che non prevede bavagli ma che anzi è pronta a condannare quanti si dichiarano contro il diritto di parola.

Naturalmente sappiamo molto bene che si corre sul filo del rasoio nel tenere insieme ragion di Stato e Stato di diritto, e tenere assieme questi due fondamenti della civiltà giudaico-cristiana e liberale insieme è un compito difficilissimo e che è possibile solo se esistono classi dirigenti altamente acculturate e portatrici di quel sentimento di civil servant che un tempo fece grande il Regno Unito.

L’Europa e i sui governanti sembrano invece sprofondati nell’angoscia e nella paura, e da questa devastante degradazione antropologica a cui il liberismo (non il liberalismo) senza fede e senza ideali ci sta trascinando, non ci si salva se non con un atto di trascendenza e di autoriforma di cui non si vede tuttavia segno alcuno. Ma rinunciare allo Stato di diritto per quella che è solo una caricatura della ragion di Stato, no, proprio non si deve. Perché sono in gioco le ragioni stesse di una intera civiltà.

Nella temperie culturale e morale attuale, di angoscia e di sofferenza di intere generazioni e popolazioni europee, mi torna alla mente il Dilemma di Bockenforde, ossia l’interrogativo che un grande intellettuale tedesco si pose a metà degli anni Settanta del secolo scorso, allorché si interrogava sui limiti di legittimazione degli Stati liberali secolarizzati, ossia riflettendo sul fatto che i rischi dello Stato liberale secolarizzato derivavano e derivano dalla sua stessa libertà costitutiva. Quella libertà che può garantirne l’esistenza solo se disciplinata soggettivamente, ossia dall’integrità morale del soggetto e non per via di una imposizione autoritativa che può assumere anche il volto della coercizione giuridica. Così facendo ricade allora negli stessi difetti costitutivi degli Stati confessionali pre-trattato di Vestfalia, dovendo ricorrere alla coercizione invece che alla libertà per mantenere l’ordine.

E quel trattato era ed è il trattato della tolleranza, frutto della lotta degli Stati olandesi quando l’Europa era ancora oscurata dal dominio spagnolo.

L’ordine europeo sta decadendo proprio per questa assenza di interna soggettiva legittimazione. Essa si è perduta quando la razionalità funzionalistica senza legittimità ha sostituito la volontà popolare scatenando il delirio che nasce dall’esclusione. E il potere tecnocratico diseduca i popoli e li induce all’autoritarismo illiberale e antidemocratico: di lì il passo verso la xenofobia è brevissimo. Sì, il sonno della ragione genera mostri.

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