MilleRuote
di Giorgio Ursicino

Leopoldo Pirelli, l'imprenditore simbolo di un'Italia che volava

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Giovedì 2 Febbraio 2017, 01:25 - Ultimo aggiornamento: 01:33
È andata in onda in prima serata una delle pagine più belle della recente storia italiana. Un lungo flash che racconta un periodo in cui il nostro paese era in grande crescita e le aziende animate e spinte dal genio tricolore si facevano largo con onore e risultati straordinari sullo scenario internazionale dove i paesi altamente industrializzati e di grande cultura si contavano ancora sulla punta delle dita. Su Sky Arte HD è stato trasmesso il documentario dedicato a Leopoldo Pirelli in occasione del decennale della sua scomparsa avvenuta a Portofino il 23 gennaio del 2007 e mostrato in anteprima nei giorni scorsi all’Hangar Bicocca.

Al pari della mostra “Pirelli in cento immagini: la bellezza, l’innovazione, la produzione” (anche lei voluta dalla Fondazione Pirelli e che resterà aperta alla Biblioteca Archimede di Settimo Torinese fino al primo maggio), il film dipinge lo sviluppo del Belpaese e evoluzione della società italiana attraverso la crescita di una grande azienda. Imprenditore e manager di grande spessore, era un uomo di classe molto riservato che amava le sfide e l’innovazione, ma era anche profondamente legato ai valori della tradizione. Con questi principi per oltre trent’anni guidò l’azienda di famiglia, modernizzandola e rendendola famosa in tutti i continenti, uno dei simboli più virtuosi dell’intero made in Italy, un brand spesso abbinato alle imprese eroiche dell’Alfa Romeo e della Ferrari.

Nato a Velate una frazione di Varese, Leopoldo era figlio Alberto e nipote del senatore Giovanni Battista che nel 1872 aveva fondato la prestigiosa azienda. Ha avuto due figli, Alberto e Cecilia che ha sposato Marco Tronchetti Provera, il manager diventato suo erede alla guida del gigante degli pneumatici con cui non sempre ha condiviso visione ed obiettivi strategici. Qualcuno lo definì calvinista, Leopoldo era sicuramente schivo e riservato, amava la privacy almeno quanto il mare e la barca a vela, una passione che lo accomunava a Gianni Agnelli al pari della di determinazione di rinnovare Confindustria di cui fu anche vicepresidente.

Forse non lo farà felice, ma sicuramente non lo sorprenderà il fatto che la sua creatura, ancora guidata dal suo delfino, faccia attualmente parte del colosso orientale ChemChina poiché l’imprenditore-manager fu uno dei primi ad intuire l’indispensabilità del consolidamento e quindi la necessità di unirsi a grandi partner internazionali. Un obiettivo che ha perseguito a lungo con lungimiranza e coraggio e che ha anche segnato la sua uscita di scena. Ligio ai doveri e con un alto senso di responsabilità, infatti, Pirelli considerava quasi un obbligo ritirarsi dal palcoscenico quando arriva il momento e il tempo di passare il testimone scoccò con la fallita scalata alla tedesca Continental, un’operazione non andata in porto anche a causa dell’atavica rivalità fra popoli e paesi.

Non era certo la prima volta che Leopoldo cercava manovre del genere per portare ancora più in alto la Pirelli e farla competere ad armi pari con i giganti del settore. All’inizio degli anni Settanta aveva raggiunto un accordo con la Dunlop che poi sfumò, un decennio più tardi le mire erano sull’americana Firestone in seguito finita ai giapponesi di Bridgestone. Leopoldo cambiò l’organizzazione aziendale puntando sui manager e sulla condivisione delle responsabilità, dialogò a lungo con il sindacato sostenendo sempre che, a prescindere dal contratto che la regola, l’occupazione è sempre meglio della disoccupazione; fu uno dei fautori della settimana lavorativa di cinque giorni e delle ferie scaglionate. Portò tanti lavoratori del Sud a Milano e il Pirellone divenne il simbolo della città, il grattacelo più alto.

Per lui la fabbrica era un luogo di crescita umana e di emancipazione sociale e gli stabilimenti Pirelli divennero il motore di Milano, il simbolo del progresso e dello sviluppo. Uno scenario sintetizzato da una sua frase: «Io ho tenuto il timone, ma gli altri hanno issato le vele per riprendere la navigazione dopo la tempesta». Grande il suo amore per la cultura che fece nascere la “Rivista” e al “Calendario”. Laureatosi ingegnere meccanico a 25 anni, entrò nell’azienda all’epoca guidata da papà Alberto e dallo zio Piero fino a diventarne presidente nel 1965.

Giovanni, infatti, suo fratello più grande, dopo aver vissuto la guerra e la Resistenza, sposò la causa della sinistra impegnandosi in politica. Leopoldo era con Giovanni l’11 marzo del 1973 a bordo dell’Alfa Romeo Giulia guidata dal loro autista. Nella galleria Castelletto dell’A12, vicino Sori nella sua amata Liguria, l’auto dei Pirelli ferma in coda fu tamponata da una Fiat 128 e prese fuoco. Entrambi i fratelli si ustionarono, ma Leopoldo fu tirato fuori per primo, mentre Giovanni, con ferite di terzo grado sul 70% del corpo, morì il 3 aprile successivo.
Giorgio Ursicino
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