Cyberspionaggio, Francesca Occhionero in carcere:«Io, negata coi computer»

Cyberspionaggio, Francesca Occhionero in carcere:«Io, negata coi computer»
di Cristiana Mangani e Sara Menafra
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Venerdì 13 Gennaio 2017, 08:19 - Ultimo aggiornamento: 14 Gennaio, 09:02

Un pullover vecchio, dei pantaloni che non avrebbe usato neanche per stare chiusa in casa, e poi quelle 46 pagine di ordinanza di custodia cautelare che gira e rigira tra le mani cercando una spiegazione. Se la prigione è dura da accettare per chiunque, per Francesca Maria Occhionero lo è forse di più. La vive con un senso di soffocamento perché fino a tre giorni fa il suo hobby principale, la sua autentica passione, era correre. Le maratone, i record, il kitesurf, l'aria aperta, la libertà. E così quando il 10 gennaio scorso gli uomini della Polizia postale diretti dal vice questore Ivano Gabrielli, si sono presentati alla porta della sua casa per notificarle il provvedimento restrittivo, la bella ed elegante signora si è sentita male. E superato il cancello di Rebibbia, dove la stavano portando, ha accusato un forte dolore al petto, uno stato di agitazione che è sembrato anormale, ed è svenuta.
Invece di entrare in cella, Francesca è finita al Pronto soccorso dell'ospedale Sandro Pertini. Tutto questo mentre il marito, un professore universitario di chimica, e il suo avvocato Roberto Bottacchiari, arrivavano davanti al carcere per capire dove sarebbe stata sistemata, in quale sezione e con chi. Non trovandola hanno cominciato ad agitarsi, a cercare, perché nessuno sapeva che fine avesse fatto.

I CONTROLLI
I medici le hanno fatto un elettrocardiogramma, tutti gli accertamenti necessari e hanno riscontrato una leggera aritmia. Alla fine il responso è stato positivo e per Francesca si sono aperte le porte del carcere.
Questa mattina riceverà la visita del marito, la prima dopo l'arresto. Il suo difensore, invece, è andato a trovarla anche ieri. «Non riesco a capacitarmi del perché io sia qui dentro - continua a chiedergli - Non mi sono mai occupata delle cose di Giulio, lo aiutavo, tenevo in ordine la sua documentazione. Ne raccoglieva tanta, ma faceva parte del suo lavoro. Non so proprio quali strumenti usasse, e soprattutto se li usasse, se raccoglieva cose personali che io ho sempre considerato irrilevanti. E non so nulla di che cosa ne facesse. Proprio no. Non sono neanche brava con l'informatica. Spiegami allora - insiste con il legale - perché sto qui dentro?».
Sono bastati tre giorni in cella per trasformare una donna bella e sempre elegante, in una persona che appare disorientata. Chi l'ha vista dice che è come stordita. E poi, quel furto dei vestiti del quale ha parlato con gli stessi agenti del carcere, pare l'abbia provata ancora di più. Racconta, infatti, Francesca che al momento dell'arrivo a Rebibbia aveva cominciato a consegnare le sue cose, i suoi abiti. Subito dopo, però, si è sentita male, è stata portata in ospedale e, al rientro, tutto quello che le apparteneva era sparito. Così si è ritrovata a indossare maglioni vecchi che le hanno dato dalla Caritas, vecchi pantaloni. «Non mi portare niente di nuovo, mi raccomando - fa sapere al marito che oggi andrà a trovarla - Scegli gli indumenti più vecchi, le cose più brutte che ho, cose comode. E qualche libro».

L'ORDINANZA
Per ora ha solo quelle 46 pagine dell'ordinanza, nelle quali vengono indicate le contestazioni contro di lei. Reati gravi, che parlano di violazioni della privacy e della sicurezza dello Stato. Ma anche di quanto Francesca si preoccupasse, insieme con Giulio, di poter essere monitorata dalle autorità italiane. Scrive, infatti, il gip nell'ordinanza: «Il fatto che l'ingegnere condivida immediatamente con la sorella i suoi timori e che i due parlino esplicitamente dei server appartenenti alla rete di gestione del malware è un chiaro indice di come anche Francesca fosse responsabile delle condotte delittuose per cui si procede».
Sembra passato un secolo da quando la bella e bionda signora sfoggiava abiti da sera, frequentava cene e si teneva in forma in palestra e all'aperto. Una vita fa. «Siamo certi che tutto verrà chiarito - dichiara l'avvocato Bottacchiari - Presenteremo istanza al Tribunale del riesame per chiedere la scarcerazione. La mia assistita non sapeva cosa facesse il fratello con le informazioni che acquisiva. Sempre che queste informazioni siano state veramente acquisite».