Roma, Mas chiude per sempre: addio ai Magazzini allo Statuto

Roma, Mas chiude per sempre: addio ai Magazzini allo Statuto
di Raffaella Troili
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Domenica 8 Gennaio 2017, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 22:37


«Mas muore qui, scriva un bel necrologio». La parola fine la suggerisce Piero, un responsabile del personale. Stavolta è vero, non ci sono proroghe né dilazioni. I Magazzini allo Statuto di piazza Vittorio oggi chiudono per sempre. Tra gli scaffali semivuoti qualcuno ancora si aggira in cerca di affari: mutande, calze, felpe, camici da lavoro, tutto a un euro e arrivederci e grazie. Prezzi più popolari di sempre, perché les jeux sont faits, la scala mobile è chiusa, le stampelle e i sacchi di stracci accatastati, la fine di un mondo è arrivata.
Dopo tanti annunci, Mas sventola bandiera bianca. «L'anno scorso avevamo chiesto una proroga alla banca, un'altra dilazione, ma non siamo riusciti a ottemperare, i costi che loro ci chiedono non sono adeguati a quanto si riesce a guadagnare, non ce la facciamo a coprirli. Domani (oggi per chi legge, ndr) è fissata la consegna improrogabile dei locali, dopo quasi cento anni di storia. I proprietari chi sono? Un grande gruppo finanziario del Nord». Non c'è stata una levata di scudi, era nell'aria.

IL DOLORE DELLE CLIENTI
Ma le clienti storiche si sono dispiaciute assai, perché in quei cestoni, dentro quel magazzino dagli arredi decaduti, come quelli di una vecchia dimora in disgrazia, hanno sempre trovato quel rapporto qualità-prezzo che tanto piaceva e ancora piace a una certa romanità: l'affare che attira la donna del popolo e il ragazzo in cerca di una mimetica o una maschera, la signora dei Parioli che vuole il brivido di un tuffo nel kitsch, a caccia di scampoli di stoffe per farci bene cosa non si sa. «La clientela in questi giorni è stata squisita, sono vicini al nostro dolore. Per loro siamo stati una valvola di sfogo», dice Piero ma non è giusto, non è solo questo. I Magazzini allo Statuto sono stati i romani col pile, no logo, no marche e no soldi nel portafogli, quelli che vanno al sodo, le rughe sul viso e i calli sulle mani. Le donne che si fanno belle con uno straccio. Ma all'inizio non era proprio così. Questi grandi e un tempo sontuosi magazzini hanno attraversato un secolo di storia italiana e quando sono nati tra scale mobili, quadri e lampadari di cristallo, rappresentavano il lusso per le signore benestanti del primo dopoguerra. A ridosso del centro per decenni sono stati mèta di una certa clientela, intorno, i palazzi umbertini decadenti ma signorili come pochi altri, ne sono ulteriore testimonianza. Poi, come il quartiere Esquilino, anche Mas, si è trasformato via via in un grande mercatone al coperto. Sempre unico nel suo genere. Solo qui alla vigilia di Capodanno di quest'anno si potevano acquistare divertiti stock di slip rossi da donna a un euro, la quantità prima della qualità, forse, ma la crisi non guarda in faccia né gli immobili né le persone. E qui il compromesso c'è stato fino all'ultimo, anzi è stata fonte di sopravvivenza. Un camice verde? Può sempre servire, una giacca caldissima da mettere una volta sola nella vita? A saperlo che arrivava questo gelo. Ora è tutto a 0,50, 1 euro, cappelli, sciarpe, maglie, tre pezzi in offerta a 2 euro. Passando per 4, 5 euro, 12 euro il prezzo massimo per giacconi e cappotti.
Siamo alla vigilia della fine: l'aria di smobilitazione rende meno allegri gli acquisti, sembra come aggirarsi in un pezzo di Roma che da oggi non si potrà vivere ma solo raccontare. Mentre fuori restano le bancarelle e le chincagliere del quartiere più multietnico di Roma, chiudono i Magazzini che solo così, al ribasso, hanno potuto resistere e tener testa alla trasformazione del rione. «La crisi, la recessione» ripete Piero, mentre i pochi inservienti rimasti non hanno voglia di parlare (15 da oggi sono a spasso). «Abbiamo provato a resistere, ma l'affitto è troppo alto, le spese di gestione sono superiori agli introiti, un target di commercio così popolare non permette di ammortizzare i costi del mese».

ORRORI E COLPI DI FULMINE
È finita, l'enorme Titanic dell'Esquilino è semivuoto, tornerà in mano alla banca proprietaria. E generazioni di romani restano orfani di un posto da dove era impossibile uscire a mani vuote: completi da uomo, lingerie, accappatoi, pigiami, ma anche divise da lavoro, vestiti per la pesca, utensili da cucina, tutto a poche lire, tutte cose sfacciatamente introvabili nei negozi cosiddetti normali. Un museo dove frugare tra orrori e pezzi-colpi di fulmine, come l'impermeabile militare a 3 euro, il giubbetto da Top Gun, il vestito di perline fucsia. Quattromila metri e 5 pieni di esposizione dove la gente, come si dice a Roma, faceva a cazzotti. E la gente erano suore e costumisti, travestiti, massaie, fricchettoni di sinistra. Quanti ricordi, dolci come il passato, trash come quelle scivolate indimenticabili che restano nell'armadio. «Che cosa hanno in comune le rovine del Palatino ed i Magazzini Mas? Entrambi sono stati inseriti tra le 101 cose da fare nella vita nella città di Roma», c'era scritto sul profilo facebook del magazzino stesso a ottobre 2015. E siamo a 100. Così forse è più chiaro, perché oggi Roma perde qualcosa.

 

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