Per quanto riguarda gli altri nove imputati (Davide Talamoni, Fabio Talamoni, Fabrizio Sinceri, Daniele Mazzini, Mirko Mazziotti, Francesco Palazzi, Gabriella Romani, Marzia Salvi e Marco D'Agostino), gli stessi sono stati condannati a pene comprese tra un anno e nove mesi e tre anni e nove mesi.
L'accusa faceva riferimento all'intestazione fittizia, con l'aggravante del metodo mafioso, di stabilimenti balneari, chioschi-bar, esercizi di ristorazione, società, auto e concessionarie.
Beni intestati a teste di legno, ma in realtà, secondo l'accusa, riconducibili alla famiglia Fasciani. Secondo l'accusa riferita al primo grado di giudizio e fatta propria dal Pg Otello Lupacchini nel processo d'appello, «il metodo mafioso, rappresentato dall'esazione del pizzo e dall'intimidazione di terzi con l'uso delle armi o comunque della violenza ha consentito a questa organizzazione criminosa di infiltrarsi nel territorio, di ridurre la popolazione soggiogata all'omertà e all'assoggettamento, di sfruttare quella zona grigia, rappresentata dall'ausilio fornito da chi sapeva ma ha preferito far finta di niente per trarne comunque beneficio, come commercialisti, direttori di banca, amministratori e esponente politici, imprenditori collusi, e di portare avanti così i propri affari».
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