Referendum, Franceschini: «Comunque vada il voto, Renzi resti fino al 2018»

Referendum, Franceschini: «Comunque vada il voto, Renzi resti fino al 2018»
di Mario Ajello
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Domenica 20 Novembre 2016, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 16:26

Ministro Franceschini, i sondaggi non sono favorevoli al Sì nel referendum del 4 dicembre. Come potete capovolgerli in due settimane? 
«La tendenza si può invertire, facendo capire a tutti che non si vota sul governo, non ci si esprime su Renzi, ma su che cosa potrà essere e sarà l’Italia nei prossimi decenni. La Costituzione dura a lungo. Se il referendum, prescindendo dal merito, viene considerato solo uno strumento per dare una spallata all’esecutivo in carica, si compie un atto contro il proprio Paese». 

Nel caso vinca il No, si parla di un possibile governo Padoan o di un eventuale governo Franceschini al posto di quello di Renzi e l’attuale premier propenderebbe per la seconda soluzione. Lei è pronto?
«Queste sono fantasie da retroscenisti. In ogni caso, nella sciagurata ipotesi di risultato per noi negativo, io penso - proprio per il fatto che governo e referendum sono due discorsi diversi - che Renzi dovrebbe proseguire il suo lavoro fino alla fine della legislatura. Ma la mia è soltanto un’opinione. Naturalmente, sarebbero il presidente della Repubblica, lo stesso Renzi e il Parlamento a dover decidere».

L’attuale premier, in caso di sconfitta referendaria, vuole andare alle elezioni. Lei no?
«Renzi ha solo detto no a governicchi. E non dimentichiamoci che le elezioni saranno comunque vicine. Si è votato nel febbraio del 2013, e la scadenza naturale sarà il febbraio 2018: poco più di un anno dopo il referendum del prossimo 4 dicembre». 

Intanto le difficoltà del Sì sembrano insormontabili, secondo i pronostici. Ciò deriva dal fatto che il governo ha sbagliato molto in questi mille giorni? 
«Nessuno ha il dono dell’infallibilità. Ma è difficile trovare, negli ultimi decenni, un esecutivo che in due anni e mezzo ha realizzato la quantità delle cose che abbiamo fatto noi, condivisibili o meno che siano. Ma il momento in cui valutare l’operato del governo sarà quello delle elezioni del 2018. E non questo della consultazione sulla Carta Costituzionale». 

Davvero la partita referendaria è aperta? 
«Bisogna far capire agli italiani una cosa semplice: chi vuole battere Renzi nel Pd ci provi al congresso; chi lo vuole battere fuori dal Pd e nel Paese lo sfidi, come ho appena detto, alle elezioni politiche. Ma usare l’appuntamento del 4 dicembre per motivi contingenti di battaglia politica è un atto che non fa gli interessi della nostra nazione». 

Sta dicendo che il merito del quesito è sovrastato dalle speculazioni partitiche che si costruiscono sul referendum?
«Sto dicendo che bisogna tornare al merito. Se vince il No, oltre alle conseguenze immediate sull’economia e sul governo, ci saranno effetti di lungo termine. L’Italia si troverà in un sistema bicamerale, quello stesso che tutti dicono che va cambiato perché non funziona, e in più in un sistema diventato tripolare nessuno avrà la maggioranza nelle due Camere. In questi anni, in presenza del bipolarismo, quasi mai si è riusciti a raggiungere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento: figuriamoci come sarà mai possibile ora che i poli sono tre! Di fatto, il No significa tra l’altro che chi vince alla Camera non avrà la maggioranza al Senato. Ciò vuol dire: o larghe intese o ingovernabilità perenne». 

Se vince il Sì? 
«Ci sarà lo scenario che tutti abbiamo desiderato per decenni: una sola Camera che fa le leggi e un vincitore delle elezioni che in quella Camera avrà la maggioranza assoluta e che governa stabilmente». 

Scenario perfetto per lo strapotere di Renzi?
«Questo quadro non avvantaggerebbe lui ma il Paese. Perché il vincitore delle prossime elezioni, che non sappiamo chi sarà, avrà la possibilità di governare stabilmente per cinque anni».

Renzi già adesso appare a molti come l’uomo solo al comando. Voi ministri e voi del Pd non siete stati eccessivamente timidi dal punto di vista del protagonismo politico? 
«Non mi pare proprio. Renzi ha avuto ed ha una maggioranza larga che convintamente lo sostiene. Se poi qualcuno ha nostalgia di avere i giornali pieni di lotte interne ai partiti, si accomodi. Io so che per anni, nel centrosinistra, abbiamo sempre detto che serviva un leader e un leader forte. Adesso che lo abbiamo, non sopporto questo brontolio che è troppo forte. E considero un atteggiamento mediocre e colpevole cercare di utilizzare il referendum per indebolire Renzi. Perché così facendo si indebolisce il Paese, come tutti gli osservatori in tutto il mondo politico ed economico capiscono benissimo. E non a caso - si veda Bankitalia l’altro giorno - denunciano i rischi di un’Italia che potrebbe tornare instabile». 

Se vince il Sì, ci sarà la scissione nel Pd? 
«Sono convinto di no. Anche perché di un partito così aperto e tollerante, che accetta di avere al suo interno posizioni contrapposte su un tema decisivo quale la riforma costituzionale, nella storia non c’è traccia. E quindi, staremo insieme indipendentemente dall’esito del referendum».

Però questo Pd, questo governo, questo renzismo, a molti risultano antipatici. E’ solo prevenzione? 
«Ci sono dei grafici in cui si vede che, in tutto il mondo, il periodo tra il secondo e il terzo anno di un governo è quello più difficile. Perché le cose fatte ancora non hanno prodotto i risultati sperati. Ma poi il tempo rende giustizia degli sforzi. E le decine di riforme fatte dal governo Renzi saranno sempre più percepite dai cittadini».

Una percezione diffusa è che c’è tanta voglia di legge proporzionale, dopo il referendum. Si torna indietro?
«Mi limito a una constatazione oggettiva. Abbiamo tutti ragionato, fino all’Italicum, su un Paese bipolare. Ora l’Italia mi sembra stabilmente, anche se non so per quanto tempo, tripolare. E quindi mi pare ragionevole una correzione della legge elettorale, per evitare che possa avere una maggioranza assoluta chi magari ha preso meno del 30 per cento dei voti. Ma di questo si dovrà discutere sia se vinca il Sì sia se vinca il No». 

Sta dicendo che riandremo al proporzionale? 
«Senza tornare al proporzionale, ci sono vari modelli che si adattano a una situazione politicamente tripolare».
 

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