Rapper morto, l'ultima lettera degli amici a Cranio Randagio: «Hai lasciato un vuoto troppo grande nel cuore»

Rapper morto, l'ultima lettera degli amici a Cranio Randagio: «Hai lasciato un vuoto troppo grande nel cuore»
di Marco Pasqua
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Domenica 13 Novembre 2016, 19:08 - Ultimo aggiornamento: 14 Novembre, 09:13
Lo aspettavano tutti al concerto che avevano organizzato per riabbracciarlo. Un pretesto per rivedersi, per ascoltare di nuovo quel “randagio” con “la fame di un lupo e il cuore di un cane”- come cantava in “Vittorio come va”. Ma Vittorio a quel concerto non è mai andato, stroncato in circostanze ancora tutte da chiarire. E oggi pomeriggio gli amici, increduli, si sono riuniti in un appartamento alla Balduina e hanno scritto, con le lacrime agli occhi, una lettera, che si apre con la citazione che meglio racconta quel ragazzo che «non si era mai montato la testa»: «La fame di un lupo, il cuore di un cane».

«Ciao Vit, è strano trovarci tutti insieme riuniti dietro un computer, cercando le parole giuste per descrivere quello che sei per noi. A salutarti, per l’ultima volta – scrivono i ragazzi, compagni di tante serate spensierate - Avremmo preferito farlo a modo nostro, ieri sera, nel bel concerto che avevamo organizzato tutti insieme per riabbracciarti. Era tutto organizzato: la location, la scaletta, la strumentazione. A te sarebbe bastato portare il tuo sorriso contagioso e la tua irrefrenabile voglia di cantare la vita in versi: ne sarebbe uscita una serata perfetta». «In fondo la nostra amicizia è sempre stata così: anche quando la tua musica e le tue passioni ti portavano lontano da noi, ad ogni tuo ritorno era come se non ci fossimo mai persi di vista. Il tempo che ci divideva non ostacolava il nostro rapporto perché il bene che ci volevamo è sempre stato più grande di quelle distanze che tentavano invano di tenerci separati», scrivono ancora, ricordando Cranio randagio.

«E no, neanche il successo che hai ottenuto è riuscito a farti montare la testa e a permetterti di dimenticarti di noi: sei rimasto sempre fedelmente riconoscente alle tue origini, a quella strada che ci ha visti crescere insieme, mano nella mano, un centimetro dopo l’altro. Non senza batoste – continua la lettera -. Quella strada che era il tuo pane quotidiano e l’anima dei tuoi testi. La tua sensibilità riusciva a mettere in rima la vita di tutti i noi: dalla serata in terrazza, alla birra tutti insieme, all’incontro in oratorio con gli scout. Sempre a modo tuo, senza farti mai mettere i piedi in testa da nessuno. Volevi essere unico, perché tu eri unico. Eri te stesso nell’errore e nella cosa giusta: non hai avuto due facce, non hai mai indossato la maschera del buono o quella del cattivo. Eri sempre Vittorio». E, ora, scrivono ancora gli amici, «quel randagio di Vittorio che ci ha lasciati così, con un computer in mano e un vuoto troppo grande dentro al cuore. Ladri di emozioni: la morte si piange, non si discute».

 
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