Oltre le sanzioni/ Torna strategico il dialogo con il Cremlino

di Giulio Sapelli
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Venerdì 11 Novembre 2016, 01:11
Se non si fanno i conti con la storia, difficilmente si può comprendere perché Donald Trump fin da subito ha guardato con atteggiamento conciliante in direzione di Mosca. E la storia non fa sconti. Come la povertà, che avrebbe dovuto scomparire con la globalizzazione e la pace mondiale sarebbe stata ineluttabile nell’abbraccio armonioso del mercato.
Così come l’uguaglianza sarebbe stata la condizione naturale dell’uomo, senza bisogno del socialismo o dei suoi surrogati.
La povertà, invece, è entrata nelle case di coloro che un tempo si consideravano economicamente sicuri. E la guerra, in intere regioni del globo - come la Mesopotamia e l’Africa sub sahariana - è divenuta una realtà da decenni. Questo perché l’illusione di pacificare distruggendo con gli Stati gli eserciti nemici, come si è fatto in Irak nel 2003, e di portare il principio di maggioranza laddove vigeva quello degli anziani e del clan tribale, ha ucciso centinaia di migliaia di esseri umani e ne ha ridotti all’esodo altrettanti. Il principio ordinatore mondiale costituito dagli Stati Uniti è venuto meno a partire grosso modo dalla Guerra del Golfo, a cavallo del 1990, e poi via via si è ancor più visto perdere di efficacia, di intelligenza politica, di arte diplomatica. La via di uscita è stata intravista o nel neo isolazionismo repubblicano o nell’arretramento preconizzato da Barack Obama. Non possiamo più fare da soli? Ebbene, si son detti a Washington, scegliamo area per area gli alleati con cui condividere i costi dell’ordine internazionale. Ma questo ragionamento sottovalutava una debolezza intima: la tragedia di un’Europa divisa come mai in politica estera sia sul ruolo della Nato (i francesi non sono mai tornati indietro dal loro disimpegno) sia su quello degli Stati Uniti in Medio Oriente (come quando nel 2003 Francia e Germania lasciarono soli gli Usa). Non bastasse, per anni proprio Obama ha alimentato le paure isolazioniste e le angosce millenarie da stato di assedio verso una Russia che con Vladimir Putin ha riconquistato l’orgoglio nazionale e compreso che deve essere sempre a ogni costo salvaguardato il suo accesso ai mari caldi. Di qui l’imperativo per il quale la Crimea doveva tornare ciò che è sempre stata, ossia russa. E la presenza russa in Medio Oriente è una condizione naturale della guerra di potenza, come ben sappiamo noi italiani sin dalla guerra di Crimea, per l’appunto. Sicché gli Stati Uniti si sono trovati a dover mediare con un Vecchio Continente in condizioni precarie, dopo aver favorito ciò che non dovevano, vale a dire l’inclusione nel novero europeo degli Stati confinanti con la Russia. Ciò per l’ignoranza diplomatica e la sete di potere delle tecnocrazie di Bruxelles. In tal modo la Nato ha perso l’occasione di diventare ponte tra eserciti diversi, come accadde tra Unione Sovietica e Germania dopo Versailles negli Anni Venti del Novecento, allorché Stalin favorì la ricostruzione della Wehrmacht nelle steppe. Un errore che conferma il declino della Nato medesima, sempremeno centrale delle dispute armate tra Stati. La relazione triangolare Stati Uniti-Europa-Russia, che sola può riportare l’assenza di conflitti in Europa (come in Ucraina e prima ancora in Georgia e negli stati etnici balcanici), non si è potuta inverare a causa dell’irragionevole interventismo di Washington in Medio Oriente, prima repubblicano e poi democratico, che è peraltro risultato divisivo anche in Europa. D’altro canto, è ormai chiaro a tutti che proprio in Medio Oriente solo una nuova cooperazione tra Usa e Russia può riportare la pace. L’ex primo ministro russo Evgenij Primakov, un grande orientalista, sosteneva che il futuro del suo Paese era per definizione mediorientale proprio perché euroasiatico. Sergej Lavrov, probabilmente il più influente ministro degli esteri oggi in carica nel mondo, insieme a Putin, il capo di una Russia che per nessun motivo intende rinunciare a partecipare al dominio del mondo, erano seri allievi di Primakov e ora mettono in pratica i suoi insegnamenti. Non intravedo simili maestri dietro il neo presidente americano Donald Trump, ma ne vedo lo straordinario realismo: basta sanzioni, basta definizioni tipo Stato-canaglia parlando di Russia, diamo invece il via alla sola coazione che può salvare il mondo dalla minaccia dell’aggressività cinese sempre più evidente. Essa sta via via smantellando l’egemonia americana in Asia come dimostra il caso filippino seguito da poco da quello Malese. Per dirla in breve, il mondo si sta devertebrando e solo il ritorno al principio di realismo in politica estera, con la fine dell’assurda teoria degli interventi umanitari (che umanitari non sono, ma sempre invece disastrosi sono), può riportare stabilità nel mondo. E l’architrave geostrategica non può che essere costruita attraverso la collaborazione di Russia e Stati Uniti mentre l’Europa ha la possibilità di recuperare il suo destino internazionale solo cooperando alla tenuta di tale architrave. Tutto ciò sarà decisivo per vincere la guerra contro l’Isis e i suoi padroni. E sarà altrettanto decisivo per ricostruire gran parte del Nord Africa e tutta la Mesopotamia: solo così e con piani d’investimento infrastrutturali macro potremo uscire dalla gabbia della deflazione secolare nella quale un’austerity di stampo teutonico ci tiene prigionieri. Alla fine, dopo averlo sbertucciato e criticato come nessun altro, potremmo ritrovarci a ringraziare l’arrivo di Trump. Diamo tempo alla storia: Ronald Reagan insegna
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